«Mi pare che per la candidatura alla segreteria del Pd da parte dei sindaci di capoluoghi di Regione sia stata concessa una deroga proprio in occasione delle primarie che hanno indicato Matteo Renzi». Risponde così, Massimo Cialente, a chi gli fa notare l’impossibilità che avrebbe sulla carta di portare la sua candidatura alla segreteria regionale del Pd, nata quasi per gioco e divenuta via via più seria con l’appoggio conclamato anche del presidente della Regione, Luciano D’Alfonso. Cialente che, comunque, viste anche le difficoltà di arrivare a una deroga, mette anche un po’ le mani avanti: «Io mi candido se lo decide il partito, non è che voglio farlo a tutti i costi!», concetto peraltro già espresso in precedenza. All’articolo 21 dello Statuto nazionale si legge esplicitamente: «Durante l’esercizio del loro mandato istituzionale non sono candidabili alla carica di segretario regionale: i presidenti di regione e dei Consigli regionali, gli assessori regionali, i presidenti di Provincia, i sindaci delle città capoluogo di Regione e di Provincia», con quest’ultimo caso che esclude quindi Cialente. Del tutto simile, anzi ancora più esclusivo, l’articolo 24 dello statuto abruzzese, che allarga l’incandidabilità anche ai parlamentari eletti in questa regione.
Critico, infine, il primo cittadino, con una risposta del neo presidente abruzzese dell’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), Luciano Lapenna, a un cronista che gli chiedeva se la candidatura cialentiana possa essere una «rivendicazione territoriale», con il sindaco di Vasto (Chieti) che ha risposto: «È una storia vecchia che non ci fa andare avanti». «Non bisogna ragionare in questo modo, se ci si candida a guidare il Pd abruzzese si vuole incidere sulla politica regionale, non territoriale», taglia corto Cialente.