ROMA Nessun dietrofront. Ma un ammorbidimento delle norme sulla previdenza complementare ci sarà, a cominciare dalla tassazione dei Fondi pensione. In attesa che termini il consueto ciclo di audizioni e in vista della scadenza degli emendamenti parlamentari prevista per venerdì, tra Palazzo Chigi e il Tesoro si inizia a lavorare alle modifiche alla legge di stabilità. Il primo ad aprire alla possibilità di rivedere la stretta fiscale su fondi pensione e casse di previdenza privata, è stato ieri il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta. «Ci aspettiamo degli emendamenti», ha spiegato, «e sulla base di quelli valuteremo meglio la questione». Ma l’orientamento che starebbe maturando all’interno del governo, sarebbe quello di rendere meno ripida la curva dell’aumento del prelievo sui fondi. Nella sua versione attuale, la legge di Stabilità prevede un aumento dall’11,5 per cento al 20 per cento dell’aliquota sui rendimenti. L’idea sarebbe quella di far contenere questo aumento al 15-17 per cento. Un discorso analogo varrebbe anche per le Casse di previdenza private. La tassazione dei loro investimenti è stata alzata dalla legge di stabilità dal 20 al 26 per cento. Ieri il presidente dell’Adepp, l’associazione delle Casse, Andrea Camporese, ascoltato in audizione alla Camera ha chiesto che il prelievo rimanga al 20 per cento. Il mancato gettito per le casse dello Stato derivante da una misura del genere, non sarebbe insostenibile: 25-28 milioni di euro l’anno. Camporese ha confermato il giudizio fortemente negativo dei 19 presidenti delle casse previdenziali degli oltre 2 milioni di professionisti (61 miliardi di euro di patrimonio investito) circa l’aumento del prelievo fiscale, ricordando che in Europa, Francia e Germania in testa, «la tassazione è a zero». In Italia invece il risparmio pensionistico subisce doppia tassazione: «il 26% sulle plusvalenze e, al momento dell’erogazione, secondo gli scaglioni Irpef». Altro tema sul tavolo del governo è quello del Tfr. Ieri Bankitalia (si veda altro articolo in pagina) ha chiesto che la misura sia mantenuta temporanea, paventando il rischio di un impoverimento dei futuri trattamenti pensionistici.
LE ALTRE QUESTIONI
In realtà la preoccupazione del governo è un’altra: che a scegliere di farsi pagare direttamente in busta paga il trattamento di fine rapporto, possano essere alla fine soltanto pochi lavoratori. Solo qualche giorno fa Confartigianato aveva diffuso una stima per la quale solo un lavoratore su quattro eserciterebbe l’opzione. Il problema principale sta nel fatto che il Tfr in busta paga verrebbe tassato con l’aliquota di reddito marginale, rendendo dunque la scelta conveniente soltanto per chi ha redditi bassi. Proprio per ovviare a questo problema al Tesoro si starebbe valutando la possibilità di modificare la norma prevedendo per il Tfr in busta paga la stessa tassazione di favore riconosciuta a chi invece lo incassa alla fine della vita lavorativa. Si applicherebbe in questo modo un prelievo separato calcolato sulla media della tassazione applicata al lavoratore negli ultimi cinque anni. Il problema però, è di gestione e complessità di calcolo. Per questo non è escluso che, alla fine, il governo non opti per un meccanismo più semplice come un’aliquota separata ad hoc.