ROMA Lo scontro con Jean Claude Juncker ha offerto a Matteo Renzi una sponda formidabile. Presentarsi ieri sera alla riunione dei gruppi del Pd come l’alfiere della flessibilità, ha messo in difficoltà la sinistra interna del Pd già alle prese con uno scontro interno tra coloro che sono pronti al via libera al Jobs Act (visto che l’odg della direzione del Pd che parla di licenziamenti disciplinari finirà nella legge delega) e chi invece - come Fassina- resta sulle barricate pronto a votare ”no” anche in caso di voto di fiducia.
PIANO
La polemica sull’euroburocrazia, che mette in fila numeri di una ricetta economica sbagliata che sta fermando anche l’economia tedesca, rappresenta per Renzi il modo per svuotare le critiche che piovono da sinistra e da destra sulla manovra e sul Jobs Act. Nel vuoto di leadership che affligge la sinistra europea, Renzi accetta volentieri l’inusuale botta e risposta con il neo presidente della Commissione europea che comincia la sua missione attaccando il leader di un governo in carica e nel momento in cui le riforme strutturali che ogni singolo paese dell’Unione sta facendo - come richiesto da Bruxelles e Berlino - si stanno rivelando come un modo se non sbagliato almeno inefficace, per uscire dalla crisi.
Tanto per far capire che non scherza, ieri sera Renzi - prima della riunione con i gruppi del Pd - ha convocato a palazzo Chigi un vertice tra ministri per discutere del piano di investimenti da 300 miliardi promesso da Juncker al momento della sua nomina a presidente della Commissione. Il presidente del Consiglio sta raccogliendo munizioni in vista del Consiglio europeo di metà dicembre nel quale lo scontro sarà difficile da evitare.
La credibilità del premier e del Paese ha però bisogno che molte delle riforme promesse siano trasformate in legge. La riunione di ieri sera con i parlamentari del Pd è servita a ricompattare i gruppi in vista di un tour de force che dovrebbe permettere al governo di incassare il varo definitivo del Jobs Act, della legge di stabilità, della riforma della pubblica amministrazione e della legge elettorale.
Il patto che Renzi ieri sera ha offerto alla minoranza Dem prevede una sorta di scambio tra tempi certi e interventi più o meno «cosmetici» sulla riforma del mercato del lavoro. La trattativa è andata avanti sino a tarda sera con il ministro Poletti e il sottosegretario Guerini impegnati in una mediazione con il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano e i capigruppo di Camera e Senato Roberto Speranza e Luigi Zanda. Renzi punta ad avere il Jobs act approvato sia dalla Camera sia dal Senato, dove tornerà per le modifiche che apporterà palazzo Madama, prima dello sciopero generale che la Cgil ha promesso per dicembre. «E se serve metterò la fiducia», ha detto in serata a Ballarò.
ESPULSIONI
Le possibilità di evitarlo, come auspica il ministro Guidi, sono poche perché il sindacato della Camusso non sembra accontentarsi delle correzioni che verranno apportate alla legge delega e annuncia «opposizione brutale» alla riforma.
La spaccatura interna alla sinistra del Pd è destinata a provocare ripercussioni nei rapporti con la Cgil. L’ala vicino a Bersani è infatti destinata a perdere qualche pezzo e coloro che non voteranno la fiducia sono destinata a finire fuori del partito.