Il sindacato consegna un testo in audizione alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato. "La legge non va bene in termini di investimenti e politiche di sostegno alla crescita. Serve il Piano del Lavoro proposto dalla Cgil". La sintesi del testo
“La legge di Stabilità nel suo insieme risulta inadeguata e insufficiente in termini di investimenti e politiche di sostegno alla crescita. Le risorse nette che effettivamente mette in gioco nel 2015 costituiscono qualche frazione decimale di un punto di Pil, mentre la stessa certezza, trasparenza ed esigibilità delle risorse effettivamente in gioco costituisce un ulteriore limite non trascurabile. Anche per questo viene accentuata l’assenza di qualsiasi disegno e coordinamento tra politiche di sviluppo e politiche per il lavoro”. E' quanto si legge nel testo consegnato oggi (4 novembre) dal segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, in occasione dell'audizione sulla legge di Stabilità.
“Se il Parlamento dimostrerà la volontà di discutere come ricostruire una politica finanziaria e di bilancio all'altezza della situazione, la Cgil non farà mancare il proprio apporto in termini di proposte e relazioni costruttive”. Tra queste: “Si può e si deve avviare una manovra come quella proposta dalla Cgil con il Piano del Lavoro, per rispondere alla crisi di domanda e occupazionale, qualificare l’offerta e il lavoro”.
Ecco la sintesi del testo consegnato oggi in audizione presso le commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017.
Il contesto macroeconomico
Appare insensata qualsiasi politica economica che, in presenza di un calo tendenziale della domanda estera e del minimo storico dei consumi interni, scommetta sugli investimenti privati delle imprese del territorio nazionale o, peggio, sugli investimenti diretti esteri. È ormai evidente che tagli della spesa pubblica e aumenti iniqui delle tasse alimentano recessione economica, depressione occupazionale e spirale deflazionistica, hanno aggravato e non risolveranno in futuro il problema del debito pubblico. Il Governo continua, però, a sottovalutare l’impatto recessivo delle politiche di austerità e il rischio di deflazione con le sue drammatiche conseguenze, economiche e sociali. Le previsioni del Governo per il 2015 (PIL reale +0,5% nel quadro tendenziale e +0,6% nel quadro programmatico, sulla base dell’azione di governo) e per gli anni successivi continuano perciò ad apparire tanto modeste quanto irrealistiche. Si rinuncia ad aprire una “vertenza” con l’Europa e, anzi, si ribadisce la coerenza dei nuovi saldi con le riforme strutturali in programma.
Non si possono conciliare austerità e crescita. Il quadro programmatico di finanza pubblica, al 2,9% o al 2,6% nel 2015 non cambia la politica economica del Governo, che resta prigioniero del tetto europeo del 3% di deficit e, inevitabilmente, propone miglioramenti troppo modesti dell’economia italiana: una crescita addizionale del PIL di 0,1% per il 2015 e 0,2% per il 2016. Inoltre, malgrado il MEF non abbia previsto alcuna variazione del quadro macroeconomico per effetto del maggiore rigore, in realtà, altri 4,5 miliardi non spesi per la crescita contribuiscono a deteriorare ulteriormente l’economia. Le misure di carattere espansivo previste dal Governo sono troppo limitate, anche solo per contrastare la deflazione. Si scommette tutto su una ripresa, senza lavoro, degli investimenti privati – attrazione dei capitali dall’estero e risorse delle imprese nazionali, non in crisi, sostenute dalle banche – e su una modesta spinta dei consumi – sostenuta più da un miglioramento del clima di fiducia dei consumatori che dal bonus Irpef – che assorbirà soprattutto il saldo negativo tra esportazioni e importazioni. Nella Nota si evince come il Governo continui a “programmare” il disastro sociale.
La manovra nel disegno di legge di stabilità 2015
Nonostante i tanti annunci sul carattere espansivo della manovra, la legge di stabilità nel 2015 e, in generale, la politica economica del Governo appare ancora d’impronta liberista e, purtroppo, ancora in linea con la politica dell’euro-austerità, tra illusioni, insuccessi e recrudescenza dell’economia e dei conti pubblici italiani. Infatti, tutti gli stimoli alla crescita ricercati per via fiscale vengono annullati dalle riduzioni della spesa pubblica.
Ai fini dell’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione nel 2015 l’articolato prevede:
- Maggiori spese per oltre 20,3 miliardi di euro (conferma del bonus Irpef, anche se non strutturale; disposizioni e risorse sugli ammortizzatori sociali, anche se non aggiuntive; allentamento del Patto di stabilità interno, anche se in concomitanza di tagli ai trasferimenti; finanziamento dei Fondi strutturali fuori dal saldo di bilancio per le Regioni; incremento dei fondi per le politiche sociali, anche se di molto inferiori ai tagli; Fondi e risorse per la scuola, anche se in assenza delle risorse già previste; Fondo per interventi a sostegno delle famiglie, anche se iniquo; TFR in busta paga, anche se anticipa soldi degli stessi lavoratori e poi gli aumenta le tasse e li priva di un importante risparmio previdenziale, sperando su un comunque debole e incerto impatto sui consumi; Credito d’imposta per R&S, anche se modesto e non selettivo), comprese le missioni di pace e le esigenze indifferibili.
- Minori entrate per oltre 11,4 miliardi di euro (sterilizzazione “clausola di salvaguardia” prevista dal Governo Letta, anche se ne sono previste altre tre; riduzione dell’IRAP sul costo del lavoro, anche se non vincolante a investimenti e occupazione; decontribuzione per nuove assunzioni, anche se non per nuovi occupati; regime fiscale agevolato per gli autonomi, anche se privilegia gli autonomi ricchi e evasori)
- Minori spese per 15,9 miliardi di euro (tagli agli EE.LL.; tagli ai Ministeri; riutilizzo del Fondo per la riduzione della pressione fiscale, per far fronte alle osservazioni europee; riprogrammazione risorse dei fondi per la coesione, anche se a svantaggio di alcune regioni del Mezzogiorno; Fondo per i crediti di dubbia esigibilità). In questo quadro risaltano i tagli in tema di istruzione e di welfare (meno risorse per la Salute; tagli alle politiche sociali e ai fondi per la non autosufficienza; l’assenza di misure di contrasto alla povertà; insufficienti misure per i richiedenti asilo e rifugiati).
- Maggiori entrate per 10,1 miliardi di euro (Misure di contrasto all’evasione, anche se insufficienti e sovrastimate; aumento tassazione dei giochi, richiesta da tempo dalla CGIL)
I tagli alla spesa hanno 4 caratteristiche:
1. producono effetti negativi su altri soggetti pubblici (es. infrastrutture; Anas; Rai, etc.).
2. producono effetti negativi di riduzione di servizi alle persone
3. producono effetti di cosiddetta razionalizzazione sull'attività delle stesse amministrazioni pubbliche con risultati che si ripercuotono sui fruitori dei servizi e delle prestazioni pubbliche
4. risorse derivanti da misure di vendita patrimoniale i cui risultati vengono contabilizzati preventivamente difficili da conseguire.
Il Governo, inoltre, conferma il blocco della contrattazione e del turn-over nella P.A., per il quinto anno consecutivo.
Per gli anni successivi la Legge di stabilità in discussione prevede un accreditamento netto pari rispettivamente a oltre 2 miliardi nel 2016 e a quasi 10 miliardi nel 2017, confermando la volontà espressa nei precedenti documenti di economia e finanza pubblica – da questo e altri governi – di ridurre progressivamente l’indebitamento netto, tornando a deprimere la domanda effettiva e a sortire effetti tendenzialmente recessivi e regressivi.
Si manifestano peraltro molte incongruenze e incoerenze rispetto agli altri provvedimenti in calendario al Parlamento (Delega per la riforma della P.A.; Jobs Act; Sblocca Italia; ecc.).
Anzi, nel Ddl stabilità si continua a tagliare la spesa pubblica e a ridurre gli investimenti pubblici, ignorandone il documentatissimo legame con l’occupazione, l’innovazione e la produttività.
Si continua a ridimensionare il perimetro pubblico e lo Stato sociale, determinando un impatto fortemente negativo sulla domanda interna e sulle dimensioni del sistema economico-produttivo.
Si continua a rinunciare ad aggredire i grandi patrimoni e non si prevede una vera lotta all’evasione, lasciando iniquo e inefficiente il sistema fiscale.
La manovra riduce la dimensione e la qualità dello stato sociale.
Il Governo scommette invece su una forte riduzione delle tasse alle imprese (taglio generalizzato dell’Irap sul costo del lavoro e sgravi contributivi per nuovi contratti a tempo indeterminato) e sulla svalutazione del lavoro (Jobs Act, come “collegato” alla Legge di stabilità) sperando che, senza vincoli e con meno tutele, aumentino gli investimenti privati e, per questa via, l’occupazione. Ma non succederà perché il permanere di una crisi di domanda scoraggia le imprese.
Anche gli incentivi direttamente legati alla stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato realizzeranno più stabilizzazioni e sostituzioni che nuovi occupati.
Le politiche per le imprese e le misure fiscali per lo sviluppo non sono adeguate e manca una vera politica industriale. In più sottendono una politica concettualmente antimeridionale, determinando un ulteriore differenziale nella coesione del Paese.
Manca una politica di regolazione della finanza privata e, anzi, la misura sui derivati (double way CSA) espone a rischi di liquidità il Tesoro e potrebbe avere ripercussioni negative sul sistema bancario.
Tra gli interventi del Ddl stabilità 2015-2017 manca, colpevolmente, la “questione meridionale”. Anzi, anche nella migliore delle ipotesi, gli effetti della manovra in Legge di stabilità rischiano di accentuare gli squilibri tra Mezzogiorno e il resto del Paese.
In definitiva: nessuna creazione diretta di occupazione. Nessuna creazione di nuovi mercati. Nessuna politica industriale. Nessuna innovazione. Nessuna ripresa.
Proposte Cgil
Si può e si deve avviare una manovra come quella proposta dalla Cgil con il Piano del Lavoro, per rispondere alla crisi di domanda e occupazionale, qualificare l’offerta e il lavoro, attraverso:
1. Un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile, da finanziare attraverso un’Imposta sulle grandi ricchezze finanziarie (solo sul 5% delle famiglie ultraricche d’Italia). Con un gettito di circa 10 miliardi di euro l’anno si potrebbero davvero creare oltre 740mila nuovi posti di lavoro (pubblici e privati), aggiuntivi, in tre anni, per la produzione di beni comuni e servizi pubblici, a partire dal riassetto idrogeologico e da programmi di nuove politiche sociali (riportando il tasso di disoccupazione al 7,5%, vicino al livello pre-crisi, aumentando il PIL di 2,5 punti), in tutto il territorio nazionale.
2. Una nuova politica industriale per l’innovazione, con il sostegno delle grandi imprese pubbliche nazionali e di Cassa Depositi e Prestiti, programmando nuove infrastrutture materiali e digitali, maggiori risorse per la Ricerca & Sviluppo (che peraltro andrebbero subito ad incrementare il PIL per effetto delle nuove regole Sec-2010) e investimenti pubblici, soprattutto a livello locale (anche attraverso tavoli territoriali di programmazione negoziata per lo sviluppo, con la partecipazioni di tutti gli attori locali al governo della formazione della spesa, dei fondi europei e degli indirizzi delle risorse private).
3. Una forte riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro e da pensione, attraverso un piano di lotta per la riduzione strutturale dell’evasione fiscale e della corruzione, recuperando le risorse utili ad aumentare ed estendere il bonus Irpef.
Tre azioni che il Governo potrebbe fare subito, anche nella Legge di Stabilità 2015. Solo un’inversione della politica economica può garantire la ripresa e, con essa, una nuova espansione delle politiche sociali e un avanzamento della struttura economica e produttiva italiana.