ROMA Sul Jobs act sotto traccia si tratta. A dispetto dei proclami dei giorni scorsi, Matteo Renzi pur di incassare il sì della Camera alla riforma del lavoro entro novembre e rendere meno incandescente l’autunno, è disposto a venire incontro alle richieste della minoranza del Pd gettando sul piatto più risorse per gli ammortizzatori sociali. E, soprattutto, il premier è disponibile ad addolcire la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, recependo nella legge delega l’ormai famoso accordo raggiunto nella Direzione del Pd a inizio ottobre. Quello che prevede il reintegro in caso di licenziamenti discriminatori o disciplinari.
«SUPERARE LO SCONTRO»
Eppure, ancora cinque giorni fa Renzi aveva gonfiato i muscoli. «La delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato», aveva detto a Bruno Vespa. Ma gli scontri in piazza, le contestazioni, l’intenzione di non trasformare il lavoro in un campo di battaglia, spingono il premier alla mediazione. Anche per tentare di rendere meno arrembante l’assedio al governo della sinistra sinistra e dei sindacati. Non a caso ieri, inaugurando lo stabilimento della Piaggio Aereospace a Villanova d’Albenga, Renzi è tornato a lanciare un appello a rasserenare il clima: «Guai a pensare che si possa fare del mondo del lavoro il terreno dello scontro. Bisogna avere la capacità di non mettere gli uni contro gli altri».
Proprio «per essere conseguente», per «togliere pretesti alla protesta», Renzi ha dato mandato ai suoi ambasciatori di aprire la trattativa. Segretamente però: «Se Matteo in persona dovesse dire che apre alle richieste della minoranza, loro rilancerebbero su un milione di altre cose. Damiano è bravissimo a trattare...». Cesare Damiano è il presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio e, in questa fase, guida la minoranza dem. E giovedì ha firmato un documento con il quale viene chiesto al premier di approvare subito la legge di stabilità e soltanto dopo il Jobs act: «In questo modo si potranno trovare risorse aggiuntive per rendere efficace la riforma».
LA TRATTATIVA
Ebbene, i plenipotenziari di Renzi si sono messi al lavoro cercando di portare a casa un ”baratto”: subito l’accelerazione e l’approvazione del Jobs act da parte della Camera, in cambio di «risorse aggiuntive» nella legge di stabilità per gli ammortizzatori sociali (il quantum non è stato ancora individuato). E, soprattutto, sì all’antica richiesta della minoranza: il governo, dopo i niet iniziali, si dichiara adesso disposto a inserire nel Jobs act l’accordo raggiunto a inizio ottobre nella Direzione del Pd: «Nella legge delega», spiegano a palazzo Chigi, «si potrà introdurre una maggiore specificazione delle fattispecie per il reintegro in caso di licenziamenti disciplinari o discriminatori».
La correzione in corsa del Jobs act porterà con sé la necessità di un nuovo passaggio della legge delega in Senato. E visto che Renzi non ha intenzione di spostare la dead line fissata per il 1 gennaio, per forza di cose non viene escluso il ricorso al voto di fiducia. Non contro la minoranza dem, come inizialmente era stato messo in conto. «Ma solo in caso di ostruzionismo dei Cinquestelle. E comunque sul testo approvato dalla Commissione, senza prove di forza». Non manca un avvertimento al Ncd che frena l’intesa, puntando su una riforma più dura: «Alfano non dimentichi che gli abbiamo appena confermato la fiducia dopo le cariche di Roma contro la Fiom. E non senza imbarazzo...».