Desolazione e rabbia, ma anche rassegnazione e un infinito dolore. È una L'Aquila muta, dignitosa e tramortita , quella che ha lasciato dietro di sé la sentenza d'Appello ai componenti della commissione Grandi rischi che ha ribaltato il verdetto di primo grado, assolvendo 6 esperti su 7 per non aver rassicurato gli aquilani alla vigilia del terremoto del 6 aprile 2009. Ma L'Aquila è anche una città che non vuole gettare la spugna, pronta a scendere in piazza con un sit in di protesta, oggi pomeriggio alle 18,30 alla Villa Comunale, "per testimoniare tutta la sua indignazione". L'iniziativa è stata lanciata dai comitati di parenti delle vittime, ma chiama a raccolta tutti i cittadini per chiedere, come scrivono i comitati, "verità e giustizia". Gli aquilani faranno sentire la loro voce in un'ulteriore manifestazione che è fissata per il 23 novembre a piazza Duomo alle 16. Dopo la decisione della Corte d'Appello la comunità è ancora stordita e disorientata, in pochi sono disposti a parlare. Il centro storico è quasi deserto. Sotto una leggera pioggia di novembre, il rumore dei martelli pneumatici dei cantieri della ricostruzione e l'odore acre della calce fresca. Bruno, 76 anni, mani dietro la schiena, cammina da solo lungo Corso Vittorio Emanuele. Solo poche parole, prima di dileguarsi in un vicolo. "Vivo qui da una vita, amo questa città, ma non c'è più nulla da fare - dice - Speravo con tutto il cuore che li condannassero, ma sapevo anche che ormai non ci possiamo aspettare più nulla. In Italia la legge ognuno se l'aggiusta come vuole". Una sentenza "ignobile e una vergogna infinita", per Franco, 55 anni, agente di commercio. "Non c'è stata giustizia per i nostri morti. Questa sentenza ci fa vergognare davanti al mondo intero".
LA TENTAZIONE TERRIBILE
Mehdi Osmani, è un imprenditore di origini macedoni che vive nel capoluogo abruzzese da 23 anni e che la notte del 6 aprile ha perso sua figlia di 13 anni, Valbona, rimasta sotto le macerie della loro casa di Poggio Picenze. Per lui è "forte" la tentazione di andare via, da un Paese che gli ha dato un futuro e poi glielo ha strappato, perché qui "non ci sono mai colpevoli - sottolinea - Chi sbaglia deve pagare, ma in Italia va tutto alla rovescia e alla fine non paga mai nessuno. Quella notte rimanemmo a casa perché nessuno ci ha detto di uscire e mia figlia oggi non c'è più". Un dolore mai sopito che si rinnova dopo le assoluzioni degli scienziati della Grandi rischi e scava negli aquilani, faticando a rimuovere il senso di frustrazione: per strada, al mercato, tra le stanze della politica e nei centri commerciali, diventati ormai piazze cittadine. "C'è tanta rabbia e disillusione tra la gente", dice Roberta Graziano, commessa di 38 anni. "Il mio lavoro mi fa stare a contatto ogni giorno con le persone e sento tutta la loro amarezza. La gente è più aggressiva, dopo tutto il dolore. Credo sia una forma di difesa". Al mercato di Piazza D'Armi, all' ora di pranzo, non c'è quasi più nessuno. Gli ambulanti si affrettano a ritirare la merce dai banconi. Uno di loro, Carmine Dundee, mani ruvide che raccontano anni di pioggia e di sole, urla tutta la sua rabbia. "Li hanno uccisi un'altra volta, sono ancora lì, sepolti sotto quelle macerie".