MILANO Matteo Salvini ci ha pensato un po’ su: vado o non vado? Alla fine ha deciso di rimandare di una decina di giorni il viaggio a Tor Sapienza. «Comunque dopo le elezioni regionali dell’Emilia Romagna ci andrò». E non solo a Tor Sapienza, fa sapere, ma in tutti i posti del centro sud e specialmente della Capitale dove l’insofferenza per immigrati, nomadi, stranieri e centri d’accoglienza è un tema caldo, capace di portare consensi e di allargare il numero dei simpatizzanti: «Da Roma chiedono aiuto alla Lega, noi non ci tiriamo indietro» dice mandando in ansia gli altri partiti, tutti alle prese con una questione assai spinosa.
Per le mire espansionistiche di Salvini, i tumulti stile Tor Sapienza sono manna dal cielo, pretesti per mettere il becco là dove il partito nordista non ha mai avuto voce in capitolo. Però sono anche eventi da maneggiare con cautela (da qui la decisione di rimandare il viaggio) nella fase di creazione del «nuovo soggetto politico» a cui affidare il compito di portare il leghismo fuori dagli angusti confini di quella che Bossi chiamava padania e che Salvini, nutrendo ambizioni più grandi, ora cerca di nascondere come la polvere sotto il tappeto.
OLTRE LA LEGA DEI POPOLI
Bobo Maroni con la sua idea di Lega 2.0 stava condannando il partito a una lenta e inesorabile agonia. Il nuovo segretario l’ha fatta riemergere dall’anonimato tornando a cavalcare i vecchi argomenti che fecero la fortuna del Carroccio che fu. Ha stretto legami con Marine Le Pen, ha fatto cartello con formazioni xenofobe di mezza Europa, ha sventolato il vessillo del «no Euro», e s’è inaspettatamente portato a casa un buon risultato alle elezioni per il Parlamento di Strasburgo.
Adesso, però, vuole fare un ulteriore passo avanti. Il successo alle Europee gli ha sì ridato fiato, ma lo ha anche confinato in un’alleanza con l’estrema destra continentale (e italiana) ad alto rischio di soffocamento. La «Lega dei popoli», cioè la nuova formazione che Salvini sembrava intenzionato a far nascere per trasformare il suo movimento localista in un partito nazionale, «è un’idea superata» perché così com’era stata concepita racimolava soltanto le adesioni di pochi gruppi estremisti, da Casapound a Progetto Nazionale.
CACCIA AI MODERATI
Mario Borghezio, che proprio grazie ai voti raccolti nella Capitale è tornato a Strasburgo, racconta: «Ogni volta che vado a Roma fatico a fare due metri senza che qualcuno mi fermi per stringermi la mano. Qualcosa si sta muovendo». Magari esagera, però è vero che anche Salvini pensa che sia giunto il momento di planare nella terra del nemico provando ad «allargare il discorso» a quell’area moderata - e non estremista - che su temi come la moneta unica o l’immigrazione non si riconosce più nelle tiepidezze di Forza Italia.
Non è un caso che sulla questione di Tor Sapienza il segretario leghista si premuri di specificare che «ogni violenza va sempre condannata». E non è un caso, quindi, che dopo la prima reazione istintiva - «vado subito a dare l’aiuto che ci chiedono» - abbia deciso di prendere tempo con la scusa che di qui al 23 novembre dovrà dedicarsi anima e corpo alle elezioni in Emilia Romagna. L’attendismo ha lo scopo di non ridurre il tentativo di allargare i propri orizzonti al semplice sfruttamento della rabbia da degrado sociale. Tuttavia il suo protagonismo alimenta le preoccupazioni degli altri partiti per le conseguenze di un’eventuale calata leghista su Roma.
LA CARTA DEI VALORI
Il programma Salvini lo ha già in testa. E al primo punto prevede la redazione di una «carta dei valori» da esportare fuori dalla Padania. Non che ci siano da aspettarsi grandi novità: lotta all’immigrazione clandestina, priorità ai bisogni degli italiani, uscita dall’Euro, sicurezza. Ma anche argomenti come gli aiuti alle famiglie, le questioni etiche e bioetiche. E poi, «chi si riconosce in questi valori ben venga, e poco importa che arrivino da destra, dal centro o da sinistra. Queste sono categorie del Novecento che fu».
Quindi, ben vengano gli «arrabbiati» di Tor Sapienza, ma anche i delusi del Pdl e quegli elettori di centrodestra che cercano nuovi approdi non volendo però trasferirsi nell’area del renzismo. Bisogna soltanto convincerli che il tempo della Lega secessionista sono superati. Di questo verrà a parlare Salvini a Roma dal 23 novembre in poi: «Il vecchio centrodestra non c’è più. Bisogna crearne uno nuovo» va ripetendo da tempo. Coltivando il sogno di esserne lui il potenziale leader.