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Pescara, 24/11/2024
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Data: 15/11/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Articolo 18, intesa Ncd-governo. Il gelo del Pd: protesta sbagliata. Guerini: ascoltiamo anche chi non va in piazza. Sinistra democrat in difficoltà

ROMA Sarà pure riuscito, lo sciopero sociale, come azzarda Maurizio Landini («un grande successo»), fatto sta che si è portato dietro una lunga scia di polemiche proprio all’interno della sinistra. Nel Pd è gelo. Con bacchettate a Camusso e soci: «State sbagliando, è in Parlamento che si approvano le leggi e si fa la mediazione», dicono più o meno con gli stessi accenti i vice segretari Serracchiani e Guerini, il presidente dell’assemblea Orfini, e altri dirigenti dem. Di rimando, i leader sindacali tolgono il sorriso a quegli esponenti della minoranza pd freschi freschi di mediazione e di accordo sul Jobs act. «Una solenne presa per i fondelli dei lavoratori», stronca Landini. «La mediazione fatta nel Pd non ci piace, non è una risposta alla difesa dei diritti che noi facciamo», il de profundis della Camusso a nome della Cgil. Prima erano stati ancora più duri, i leader sindacali, quando avevano apostrofato i parlamentari della minoranza dem di «puntare a salvaguardare le loro poltrone in Parlamento». Ma tant’è, è un vecchio riflesso a sinistra, quello di considerare il più vicino come il più pericoloso, quello da attaccare, il nemico.
LA TRATTATIVA

In tutto questo, il governo segna un ulteriore punto a favore con il rientro pressoché definitivo della ribellione Ncd, che ieri aveva fatto salire le scale di palazzo Chigi all’ex ministro Sacconi e alla capogruppo De Girolamo. «L’accordo sul Jobs act è in fase di conclusione», ha annunciato Angelino Alfano. «Ci sono tutte le condizioni per un accordo», ha annunciato a sua volta Sacconi, che ha avuto contatti con il ministro Poletti, «il governo ha dato ampia assicurazione che non vuole attenuare la portata innovativa della riforma». «Non è vero che è stato ripristinato l’articolo 18», taglia corto Fabrizio Cicchitto, anche lui Ncd. Quanto al vertice di maggioranza reclamato a gran voce dagli alfaniani, prima la ministra Boschi aveva stoppato con uno squillante «non se ne vede la necessità»; quindi ci ha pensato lo stesso premier, tra uno scalo e l’altro in direzione Australia, a stroncare ogni velleità: «Il prossimo vertice di maggioranza lo faremo, se va bene, nel 2017». Rimangono le polemiche interne alla sinistra. Dal Pd è tutto un dare sulla voce alla Camusso che in piazza, oltre a criticare l’accordo appena raggiunto, ha avvertito che il sindacato non si ferma, andrà avanti, quel che conta, in sostanza, non è il Parlamento ma la mobilitazione. «La partita si decide in Parlamento. Se Camusso vuole giocarla, si candidi alle elezioni», attacca Andrea Marcucci che presidia il renzismo al Senato. Roberto Giachetti ricorre a twitter per la sua rasoiata alla Cgil: «Dite a Camusso che vantarsi di fermare il Paese non è geniale, il Paese semmai va rimesso in moto». Più mediatorie e meno gladiatorie le parole del duo Serracchiani-Guerini, i vice segretari del Pd. La prima: «Sul Jobs act lo scontro non serve a nessuno, pronti al dialogo con i sindacati per raccogliere contributi». Il secondo: «Ascoltiamo chi sta in piazza, ma anche chi non ci sta, e ricordiamo che in piazza c’è una sola sigla sindacale, che rispettiamo, ma ascoltiamo anche le altre».
LA SINISTRA

Con queste premesse, l’appuntamento odierno a Milano di Area riformista, la componente che fa capo a Roberto Speranza e ispirata da Bersani, si presenta sotto auspici non desiderati. La polemica a sinistra proprio da parte di quelli per i quali ti sei battuto, non è un bel viatico. Quando si ritroveranno all’auditorium Biagi l’ex segretario Bersani, Epifani, Martina, Speranza, Damiano e gli altri della componente, gli echi delle polemiche risuoneranno ancora. «La sinistra di governo. Valori, idee, impegni per l’Italia», recita lo slogan della manifestazione, e già da qui si capisce che non è un incitamento alla piazza, men che meno alle scissioni, ma un richiamo alla sinistra di governo. Sicché gli stessi organizzatori non fanno mistero che se i Civati e i Fassina si presentassero a sostenere la loro contrarietà alla mediazione faticosamente raggiunta dentro il Pd e dentro il governo, «si porrebbero automaticamente fuori dalla componente». E forse anche dal Pd, visto che i due vengono ormai considerati in avvicinamento progressivo e inarrestabile verso Sel di Vendola (l’altra sera, sempre a Milano, hanno partecipato a un convegno proprio con Nichi il rosso).

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