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Pescara, 24/11/2024
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Data: 19/11/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Accordo sull’art.18, sprint sul jobs act. Reintegro per alcuni casi di licenziamento disciplinare. Il premier: «Non togliamo diritti ma alibi a sindacati e imprese»

ROMA Uno scontro evitabile ma nessuno degli attori voleva cedere. Ora con l’accordo tra Pd e Ncd, la delega del lavoro riprende il cammino spedito e Renzi può permettersi un commento quasi distaccato. «Quando la cortina fumogena del dibattito ideologico si abbasserà, verrà fuori che il jobs act è un provvedimento che non toglie diritti, ma toglie solo alibi ai sindacati, alle imprese, ai politici» commenta appena sceso dall’aereo dopo il viaggio istituzionale in Australia e Turkmenistan. Anche se voleva evitarlo e a dispetto delle dichiarazioni iniziali, l’articolo 18 è diventato il totem del jobs act. Un simbolo, ridimensionato, ma che esisterà ancora come chiedeva la minoranza del Pd. Il diritto al reintegro resterà solo per i licenziamenti di tipo discriminatorio e alcuni tipi disciplinari con motivazioni false o nulli: casi in cui rimane il ricorso al giudice. Per quel che riguarda i licenziamenti economici, invece, è escluso del tutto, sostituito da un indennizzo per il lavoratore che sarà crescente sulla base dell’anzianità di servizio. «Con Ncd solo un equivoco», dice il ministro del Lavoro Poletti, «era un accordo già concluso». Vero solo in parte, perché il testo arrivato dal Senato sarà profondamente cambiato dalla Camera e non solo per i licenziamenti. Il Nuovo centrodestra però canta vittoria: «Solo modifiche limitate, l’impianto è lo stesso». La butta con uno slogan Gaetano Quagliariello: «Ha vinto l’ottimismo ha perso l’ideologia». «Il testo è cambiato l’esito della vicenda è chiaro a tutti» replica il presidente del Pd Matteo Orfini che poi ingaggia con Sacconi una battaglia a colpi di tweet. Ma oltre l’articolo 18 nella legge delega si stanno apportando diverse modifiche, anche se si tratta sempre di una cornice normativa che dovrà essere specificata nei decreti delegati solo dopo l’approvazione definitiva. Un percorso che a Montecitorio si terminerà mercoledì prossimo con molta probabilità con un voto di fiducia sul testo che uscirà dalla commissione Lavoro. «Una fiducia che volevano utilizzare per approvare senza correzioni il testo del Senato - dice il presidente Cesare Damiano - e invece l’abbiamo evitata e migliorato su parti molto importanti». Tra i passi avanti anche gli emendamenti già approvati sul controllo a distanza, la cancellazione delle forme di contratto più precarie e poi la cassa integrazione che resta per le aziende che non sono chiuse in via definitiva. Nelle delega si parla anche «di una rete più estesa di tutele, sia per i precari sia per i disoccupati», ammortizzatori che però avranno bisogno di risorse aggiuntive rispetto a quelle già inserite nella legge di stabilità. C’è poi l’impegno del governo a scrivere nei decreti delegati una norma specifica per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco utilizzato da alcuni datori di lavoro come ricatto e che colpisce lavoratrici e i lavoratori quando sono più vulnerabili in caso di maternità o di malattia. Le opposizioni, nonostante le correzioni, hanno attaccato con durezza la maggioranza. Al momento del voto sugli emendamenti all’articolo 18 i deputati di Forza Italia, M5S, Lega, Fratelli d’Italia e sinistra di Vendola hanno abbandonato l’aula. «Un provvedimento inutile - lo giudica Giovanni Toti di Forza Italia - che non serve al paese ma solo a far fare la pace tra le correnti del Pd e la maggioranza».

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