ROMA Col destino segnato, come i capponi di Renzo, sinistra-Pd e Ncd ieri si sono disputati tutto il giorno la matrice ideologica dell’emendamento con il quale il governo ha modificato il jobs act. Una contesa surreale che dà il clima che si respira in Parlamento in questo scorcio di legislatura particolarmente impegnativo vista la determinazione con la quale Renzi pretende, entro dicembre, un ”triplete” tutto suo. Ovvero il varo del Jobs Act (con tanto di decreti attuativi), anche il voto sulla legge elettorale e, naturalmente, la legge di stabilità.
BOCCIATI
Tutti tirano, in tanti strattonano, ma nessuno vuole strappare. Ovvero nessuno, Cinquestelle compresi, vuole far precipitare la situazione. Per il presidente del Consiglio il varo del Jobs Act nei tempi previsti è infatti decisivo per il prosieguo della legislatura. Uno slittamento, o peggio una bocciatura, porterebbe direttamente alla crisi di governo e, probabilmente, alle elezioni anticipate. Scenario da film horror per Silvio Berlusconi, leader di un partito d’opposizione che nello ”statuto” potrebbe inserire il mantra che il Cavaliere pronuncia ad ogni inizio riunione: «Tranquilli, non si va a votare». Una certezza e una speranza, che accompagna anche le recenti intemerate di molti esponenti del Ncd i quali, per evitare problemi, hanno prima smentito l’iniziale richiesta di un vertice di maggioranza avanzata quando il premier ha deciso di inserire nella delega l’odg votato nella direzione del Pd, e poi gioito con l’ex ministro Sacconi per essere riusciti a contenere la reintegra in caso di licenziamenti disciplinari. Atteggiamento speculare a quello della sinistra del Pd che ha ottenuto l’inserimento dell’ordine del giorno della direzione del partito nella legge delega, ma dovrà sottoporsi ad un altro voto di fiducia visto il profilarsi di una valanga di emendamenti.
CALCOLI
Un film analogo si annuncia sulla legge di stabilità. La minoranza-Dem viaggia ormai per proprio conto e, considerando il Pd una sorta di matrioska, ha presentato emendamenti alla legge finanziaria non concordandoli con il resto del partito e tantomeno con la direzione. Anche in questo caso il voto di fiducia è scontato come è ormai tradizione di tutti i governi. Così come non sarà diverso il riallineamento della maggioranza, al netto di qualche calcolatissimo distinguo possibile soprattutto alla Camera, visti gli ampi numeri di cui gode la maggioranza.
Le piazze si surriscaldano, i sindacati annunciano scioperi e i frenatori sono all’opera anche al Senato sulla legge elettorale che Renzi, come ha scritto anche ieri sulla sua enews, vuole approvata a palazzo Madama entro l’anno. Qui la contesa è più sottile e si fa forte della impraticabilità del voto di fiducia. All’opposizione di Sel e M5S si somma quello di FI, malgrado il premier abbia rinnovato di recente l’accordo con Silvio Berlusconi. Il Cavaliere cerca infatti di prendere tempo in modo da evitare tentazioni elettorali e inserire la legge elettorale nella trattativa per il capo dello Stato.
PICCHIARE
Il presidente Finocchiaro ha però il mandato di chiudere rapidamente in commissione in modo che la legge elettorale si incastri - a palazzo Madama - tra jobs act e legge di stabilità. Malgrado le resistenze e «le cortine fumogene», Renzi continua a picchiare duro, come ha dimostrato ieri subito dopo il suo rientro dall’Australia rifacendo l’elenco delle cose da varare prima della fine dell’anno.
Il timing è strettissimo e molto accidentato, ma il presidente del Consiglio è convinto che l’Italia e il suo governo, non possono smettere di pedalare se vogliono evitare che da Bruxelles si alzi nuovo vento contrario e vogliono dare al premier italiano argomenti per la battaglia sui 300 miliardi di investimento che Juncker ha promesso. A far da sfondo le elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Il successo per il Pd sembra a portata di mano. Al punto che a sinistra c’è chi si è già attrezzato per imputare a Renzi l’eventuale calo dei votanti.