ROMA Lo sciopero generale ingrossa le sue fila, non solo la Cgil ma anche la Uil e quasi certamente l’Ugl, e si sposta di data, non più il 5 ma il 12 dicembre. La decisione provoca una spaccatura tra le confederazioni: la Cisl di Annamaria Furlan non aderisce («non è la strumento adatto ora») e proclama da sola un altro sciopero del pubblico impiego il primo dicembre , oltre a una serie di manifestazioni locali il 2-3 e 4 dicembre. Come se non bastasse la vicenda sciopero diventa anche la mina che fa scoppiare una lite tra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il leader designato Uil Carmelo Barbagallo. È stata una giornata convulsa quella di ieri sul fronte sindacale. L’asse ormai consolidato che da tempo vedeva Cisl e Uil alleate su questioni anche molto calde (pensiamo agli accordi Fiat), si è frantumato. Al suo posto ne è nato un altro tra il sindacato di via Lucullo e quello di Corso d’Italia. È il primo effetto dei due cambi della guardia ai vertici di Cisl e Uil, Bonanni-Furlan e Angeletti-Barbagallo (sarà eletto ufficialmente domani). Ma è anche conseguenza diretta del tentativo del governo Renzi di relegare ai margini delle decisioni di politica economica le parti sociali. Unica schiarita tra tanti nuvoloni: il via libera, dopo l’accordo sulle modifiche all’art.18, della commissione Lavoro della Camera al jobs act che venerdì arriverà in Aula.
LIBERTÀ DI PAROLA E RISPETTO
Presente al Congresso nazionale Uil (da ieri a Roma), il ministro ha ascoltato la relazione del segretario dimissionario Luigi Angeletti ma poi, inaspettatamente, ha abbandonato la platea. Con un messaggio spiegherà di aver deciso di rinunciare al suo intervento alla luce del «mutato contesto» (la proclamazione dello sciopero generale): ma la platea la prende malissimo e partono fragorosi fischi. Poco dopo Barbagallo ci mette il carico da novanta: «Ho l’impressione che in questo governo non ci sia nessun ministro che abbia libertà di parlare. Per fortuna era presente alla relazione di Angeletti e ha sentito quello che avevamo da dire. Lui evidentemente non aveva invece nulla da dire. È la riprova che era inutile continuare a far finta di parlare con il governo». La replica di Poletti arriva poco dopo: «Ero presente non per fortuna, ma in quanto invitato al congresso della Uil ed ho deciso di andare, perché ritengo che, da ministro, sia mio dovere ascoltare e per rispetto verso un’importante organizzazione dei lavoratori. Mi aspetterei analogo rispetto e garbo dai suoi massimi dirigenti».
Lo sciopero generale del 12 dicembre di Cgil e Uil contro la politica economica di Renzi ovviamente annulla quello del 5 dicembre proclamato in splendida solitudine dal sindacato della Camusso e così vanno definitivamente in soffitta anche le critiche sullo “sciopero-ponte”. Parti sociali anacronistiche tanto da voler mettere «il gettone telefonico nell’iphone»? Angeletti osserva: «È fuori dalla realtà anche chi si ostina a governare il Paese con un tweet». E poi: «Gli scioperi costano, sono una decisione non piacevole, ma non ci hanno lasciato scelta». E mentre autorevoli esponenti della maggioranza si rammaricano per la decisioni di Cgil e Uil, il leader degli industriali la prende con filosofia. «Con i bassi livelli di attività che abbiamo in questo momento nell’industria - dice Squinzi - lo sciopero è forse un vantaggio. Sicuro non fa danni».