ROMA «Visto? L’eccesso di nervosismo conduce a commettere errori. Landini, con quella gaffe, ci ha fatto un piacere». Matteo Renzi è descritto «preoccupato e dispiaciuto» per l’ondata montante delle proteste di piazza. E non lo fanno felice neppure gli attacchi di alcuni giornali che fino a ieri lo sostenevano. «Si è scatenato un accanimento ideologico preoccupante», commenta con i suoi. Ma l’attacco del segretario della Fiom Maurizio Landini («il premier non ha il consenso della gente onesta», salvo poi rettificare) è stato catalogato dal premier come un punto a proprio favore.
«C’È ACCANIMENTO»
Però l’allarme resta. Non c’è iniziativa o visita di Renzi in giro per l’Italia che non sia accompagnata da proteste e, spesso, da scontri di piazza. Il copione si è ripetuto in serata anche a Cosenza, dove il premier e segretario del Pd è andato a chiudere la campagna elettorale per le elezioni regionali di domani. «Non è un bel vedere, siamo in presenza di una sorta di accanimento», ha ripetuto con i suoi. Ma come afferma Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, «non saranno certo le proteste a fargli cambiare strategia, Matteo non è tipo da lasciarsi spaventare. Semmai andrà avanti ancora più determinato». Pausa, sospiro di uno che ormai vive sotto scorta a causa delle minacce: «Ma è ovvio che tutta questa tensione non ci fa piacere. Sapevamo però che cambiare il Paese non sarebbe stato come bere un bicchiere d’acqua». Al Nazareno confermano: «La strategia non cambia. L’importante è portare a casa il Jobs act».
Diverso sarebbe, invece, se dal voto di domani in Emilia Romagna e Calabria il Pd uscisse sconfitto. Ma i sondaggi dicono il contrario. E Renzi twitta: «Basta insulti», confermando per sé il ruolo di chi lavora e cambia l’Italia, mentre gli altri protestano. L’ha dimostrato anche ieri firmando a palazzo Chigi un accordo industriale in Friuli e occupandosi della crisi dell’Ast di Terni: «Il lavoro si salva tenendo aperte le fabbriche, non giocando a chi urla più forte». Un po’ ciò che aveva detto giovedì: «Io lavoro, loro scioperano». «E questa strategia», dice uno dei consiglieri economici di Renzi, «ci fa guadagnare consensi sia tra i giovani che tra i precari, i non-garantiti dal sindacato. E sbaglia chi crede che le proteste spingeranno Matteo a rinchiudersi a palazzo Chigi».
In realtà il premier sperava che l’intesa con la minoranza del Pd sul Jobs act avrebbe svelenito il clima. Invece i ribelli democrat sembrano intenzionati ad andare avanti. Alcuni minacciano di votare la fiducia, se verrà posta, ma di dire “no” alla legge delega. «Un bizzantinismo», osserva Taddei. Una mossa, per Bersani & C. con cui rendere ancora più saldo l’asse con Landini.