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Pescara, 24/11/2024
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Data: 25/11/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Se nessuno va più a votare di Andrea Sarubbi

Troppe analisi miopi. Finita la conta delle schede c’è un clima da bar sport: gli sconfitti accusano gli altri di aver vinto poco

Alle 9.54 di ieri mattina, dal profilo Twitter di Angelino Alfano, il dottor Jeckill spiegava che il centrodestra diviso aveva regalato la Calabria al centrosinistra. Nove minuti dopo, dal medesimo account e sullo stesso social network, mister Hyde commentava il voto in Emilia Romagna: lì era stata colpa dell’alleanza con la Lega, che si era mangiata Forza Italia. Divisi no, ma nemmeno insieme. La morale della favola - spiegava poco dopo la senatrice Vicari, collega di partito del ministro dell’Interno - era una sola: «Qualcuno (Berlusconi, si presume) avrà capito che senza Ncd non si vince». Il bello del post elezioni è anche questo: è quel clima da bar di paese dopo le partite di campionato. È sentire i commissari tecnici da divano spiegare che Pogba all’Olimpico andava marcato a uomo, loro che - se lo avessero marcato a uomo - sarebbero finiti in ospedale per lo stordimento. È leggere i commenti di Corrado Passera, leader di un partito che non ha nemmeno presentato le liste, e apprendere che l’astensione viene da «programmi vuoti, funzionari di partito come candidati, disinteresse per i problemi veri», e chiedersi dunque come mai nei sondaggi la sua Italia Unica non si schiodi mai dall’un per cento. L’astensionismo, alibi storico di chi perde, è un’insalata mista in cui ognuno trova ciò che gli fa comodo: in quello di domenica c’è un po’di tutto, ed è curioso che proprio gli sconfitti nelle percentuali abbiano passato la giornata di ieri a rimproverare ai vincitori di non avere vinto abbastanza. Curioso, ad esempio, che proprio i Cinquestelle abbiano sottolineato quasi con sdegno (verso il governo, naturalmente) l’allontanamento dei cittadini dalla politica, loro che per dare una risposta a questo allontanamento erano nati, salvo poi perdere per strada un buon pezzo della fiducia conquistata.
Curioso che sia la sinistra più radicale a rimproverare a Renzi di aver tradito la speranza di molti, quando quella stessa sinistra non è riuscita a raccattare per strada nemmeno un voto di quelli persi, in termini assoluti, dal Partito democratico. Per non parlare della destra, naturalmente, che sta vivendo il suo momento peggiore degli ultimi vent’anni e che, se pensa di difendersi spiegando che le Regionali vanno interpretate come una sconfitta di tutti, non ne uscirà molto presto. Per quanto alta sia stata l’astensione, infatti, le vittorie del centrosinistra sono pienamente legittime: chi non va a votare delega consapevolmente gli altri a decidere al posto suo, e se i vincitori hanno ricevuto pochi consensi vuol dire che gli sconfitti ne hanno ottenuti ancora meno. C’è un problema di rappresentanza, certo; ma se esiste per chi ha vinto, figuriamoci per chi le ha prese. Poi c’è anche l’errore opposto, quello di chi ha portato a casa il risultato, e il come gli interessa fino a un certo punto. Sembra questo il caso di Matteo Renzi, che in pubblico ha tentato di liquidare il voto domenicale come “un 2-0 netto”, e pazienza se allo stadio c’erano quattro gatti: è il frutto di una cultura televisiva – commentava ieri Andrea Salerno, la mente di Gazebo – che da decenni parla di share e dimentica l’audience. Si può fare il 40 per cento in prima serata, con 10 milioni di spettatori, e gli sponsor faranno la fila per inserire spot pubblicitari nelle tue pause; se invece fai il 40 alle tre di notte, quando ti guardano pochi insonni, puoi anche spiegare agli inserzionisti che il tuo è un programma di successo, ma loro non ti staranno a sentire. Certo, le Regioni non godono oggi di grande popolarità, e la narrazione renziana – che le ha associate spesso agli sprechi – non le aiuta a riconquistarne. In più, le due che sono appena andate al voto, lo hanno fatto per cause giudiziarie, con sviluppi poco gradevoli per i presidenti uscenti. Ma sarebbe miope, per un presidente del Consiglio arrivato a Palazzo Chigi con la promessa di restituire speranza all’Italia, non interrogarsi sul crollo del consenso (e dunque della fiducia) nei confronti della politica e dello stesso Pd, che rischia di avere bruciato in pochi mesi il miracolo delle Europee.

Andrea Sarubbi

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