ROMA Le elezioni regionali consegnano l’Emilia Romagna con il 49,05% e la Calabria con il 61,40% al Pd ma il colpo lo segna l’affluenza, mai così bassa dal dopoguerra ad oggi: 37,67% in quella considerata da sempre come una Regione “rossa” e ferma al 44% al Sud. Quasi un elettore su 3, insomma, è rimasto a casa. Ma Renzi non ne fa un dramma. «La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare ma che è secondario» dice il presidente del Consiglio: «Checché se ne dica, oggi non tutti hanno perso. Negli ultimi 8 mesi abbiamo avuto 5 elezioni regionali e il Pd ha vinto 5 a 0. Una persona normale dovrebbe essere felice». Il sospetto tra i renziani è che in Emilia Romagna si sia saldato un asse tra la Cgil e la minoranza dem per scoraggiare la partecipazione al voto. Un tentativo di «boicottaggio» delle politiche di governo che Renzi non ha intenzione di subire: «Cercano di fermarmi o usano ogni occasione per una rivincita del congresso ma hanno sbagliato interlocutore», fa spallucce il premier. «Andiamo avanti come e più di prima perché l'Italia non può aspettare analisi del voto interessate», si sottolinea a Palazzo Chigi. Il premier nei giorni scorsi aveva detto «non è un test per il governo» ma dopo il voto è difficile pensare che il risultato delle regionali non avrà contraccolpi sulla politica nazionale. O almeno sulle strategie di Renzi. Anche perché lo scenario che si presenta oggi è completamente diverso da quello che ha portato al patto del Nazareno e all’intesa sull’Italicum. Il segretario del Pd oggi ha un nuovo avversario e si chiama Matteo Salvini.Grillo è sempre più lontano mentre Forza Italia è sostanzialmente scomparsa: 8,36% in Emilia Romagna e 12,41% in Calabria, dove l’Ncd di Angelino Alfano insieme all’Udc di Casini ha raggiunto l’8,70%. Stefano Bonaccini e Mario Oliverio hanno fatto registrare un secco due a zero ma per Renzi è difficile immaginare che si possa parlare di una vittoria piena. Anche perché in Emilia Romagna il Pd ha perso 670 mila voti rispetto alle elezioni europee. Ma il premier tira dritto: «Chi si impegna nelle riforme in modo coerente vince mentre per chi tentenna come Fi eM5S non è un grande risultato. Non sono preoccupato che qualcuno si tiri indietro: anche se lo fanno noi andremo avanti comunque». Ma ad essere preoccupata è soprattutto la minoranza del Pd per la quale le inchieste sulle spese pazze in Emilia Romagna non sono sufficienti a spiegare la disaffezione degli elettori. Alla Regione “rossa”, insomma, non sarebbero piaciuti né gli “schiaffi” alla Cgil né il jobs act. Una tesi che viene condivisa anche dal neo governatore Stefano Bonaccini, che parla di voto «negativo»: «C’è stata una parte di non voto che è legata anche ad un elemento di schiaffo su cose che non condivide in alcune scelte del governo e nel rapporto coi sindacati». A parlare di risultati molto preoccupanti è la minoranza Pd. Stefano Fassina spiega che una larga parte del Pd non è andata a votare perché «non condivide le misure del governo sul lavoro». Il commento più graffiante è certamente quello di Romano Prodi che, per spiegare la fuga degli elettori in Emilia Romagna, ricorda a Renzi ciò che gli diceva un suo professore quando l’interrogazione era insufficiente: «Mio caro, come ti fai il letto così dormi...». E il M5S? Beppe Grillo, che con Giulia Gibertoni in Emilia Romagna ha preso il 13,3%, assicura che l’astensionismo «non ha colpito il Movimento» ma i dati, se paragonati alle recenti europee e alle politiche, ci raccontano un’altra verità.