ROMA Davanti a telecamere e taccuini Matteo Renzi gonfia il petto: «L’alta astensione è un elemento che preoccupa, ma è secondario. In otto mesi ci sono state cinque elezioni regionali, il Pd ha vinto 5 a 0 strappando 4 Regioni al centrodestra e confermando di essere sopra il 40%». Aggiunge sicuro: «Vittoria netta, l’agenda del governo non cambia. Ora avanti come treni con le riforme». Non manca un pensierino al contraente del patto del Nazareno, Silvio Berlusconi: «Non sono preoccupato, non credo si tiri indietro. In ogni caso deve essere chiaro che noi le riforme le facciamo, non molliamo di un centimetro. Chi si impegna come il Pd in modo coerente vince, chi tentenna come Forza Italia e i Cinquestelle non ottiene buoni risultati».
Eppure, al di là delle dichiarazioni ufficiali, il premier in realtà teme le ripercussioni del tracollo di Forza Italia. «E’ una crisi che spaventa», dice un suo strettissimo collaboratore, «ora Berlusconi avrà ancora maggiori difficoltà a controllare il partito ed è tutta da verificare la sua capacità di tenuta». Il rischio, fanno sapere al Nazareno, «è il destino dell’Italicum, la riforma elettorale». Ma se Berlusconi si sfila, i renziano sostengono «di avere ugualmente i numeri». Magari con una corposa campagna acquisti in Senato.
MEA CULPA PER L’EMILIA
Ma c’è di più. C’è che il collasso del numero dei votanti in Emilia Romagna, dove il Pd ha perso un elettore su due, brucia. Eccome. Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, mette a verbale: «Abbiamo vinto in pochi mesi in 5 Regioni su 5 ed è un risultato straordinario. Ma non possiamo non tenere conto del crollo dei votanti, probabilmente le inchieste sui rimborsi in Emilia hanno pesato, si è creato un distacco tra politica e cittadini. Bisognerà rimboccarsi le maniche e migliorare il rapporto con i nostri elettori e combattere la disaffezione». «E ciò si ottiene facendo le riforme», chiosa Renzi.
In questa direzione, nella «speranza di restituire credibilità all’istituzione regionale», qualcosa si muove. Il segretario del Pd toscano e renziano doc, Dario Parrini, proprio ieri ha aderito al disegno di legge costituzionale presentato da Roberto Morassut per ridurre da 20 a 12 il numero delle Regioni. Un’idea caldeggiata da Renzi in passato e che trova sponde nel centrodestra: il governatore campano Stefano Caldoro è tra i maggiori sponsor. C’è da vedere se il premier deciderà di inserire la sforbiciata nella riforma costituzionale del titolo V all’esame della Camera. I suoi non scartano l’ipotesi: «E’ difficile cambiare in corsa, ma è innegabile che il taglio del numero delle poltrone è nel Dna di Renzi e ci si può ragionare. Non è escluso che Matteo colga la palla al balzo...».
Il premier, invece, non è preoccupato dall’avanzata della Lega di Matteo Salvini: «Per noi è l’avversario ideale. I leghisti stanno arrivando? Li aspettiamo, alle elezioni vedremo chi è il più forte...». E snobba, Renzi, le critiche della minoranza del Pd, sospettata di avere organizzato un boicottaggio in Emilia insieme alla Cgil: «Bersani dice che la causa del calo dei votanti è causato dalla rissa con Camusso e Landini? Frottole. Io vado avanti come prima e più di prima perché l’Italia non può aspettare l’analisi del voto interessata di qualche Solone del giorno dopo, di chi non ha mai vinto». Ma tra vedere e non vedere, Renzi ha già fissato una riunione della Direzione per il primo dicembre: «I nodi si affrontano e si discutono insieme. Disfattisti compresi».