BOLOGNA Di corsa verso Milano, di buon mattino, senza chiudere occhio. Il giorno dopo di Alan Fabbri, candidato leghista divenuto all’improvviso celebrità nazionale, comincia così, con un abbraccio a Matteo Salvini davanti alle tv schierate in massa come ai bei tempi nella sede di via Bellerio. Consapevole, anche lui, che il voto emiliano interessa soprattutto per quello che può succedere dalle parti di via Bellerio, Milano. Conscio che il suo 29 per cento - e il 18 della Lega - può consentire al segretario di dire che «l’alternativa a Renzi siamo noi».
LO SHOW
Salvini parla da mane a sera. In diretta tv all’alba, in conferenza stampa all’ora di pranzo, nuovamente in televisione dopocena. Dice le cose previste dal copione, «risultato storico», «in Emilia marcheremo a uomo il Pd», «ha vinto la politica delle cose concrete». Cose così. Però Salvini è un uomo che va veloce, il tempo delle dichiarazioni dura lo spazio di un giorno, con la testa è già sulle cose che vuole fare per trasformare la sua «sfida a Renzi» da semplice boutade dovuta all’ebbrezza vittoriosa a progetto politico.
Venerdì prossimo è convocata la segreteria federale della Lega Nord. Più che analisi del voto, sarà analisi del futuro. In Emilia Romagna nel 2010 il partito aveva ottenuto quello che fu definito un risultato irripetibile: 13 per cento. Quattro anni dopo sta al 18, malgrado il fatto che il Carroccio sia reduce da un’agonia che ha indotto tutti a darlo ormai per spacciato: «Vuole dire» ha detto Salvini ai suoi «che finalmente possiamo sfondare i confini che ci hanno visto relegati da sempre a Lombardia, Veneto e Piemonte». L’urgenza dei leghisti, dunque, è quella di esportare il «modello Lega» alle zone d’Italia non padanizzate. In pubblico lo accenna appena: «Questo è un risultato che mi permette di girare il Paese da Nord a Sud, perché voglio arrivare al 51 per cento degli elettori». Nelle riunioni ad uso interno lo dice in modo approfondito. L’obiettivo è quello di far nascere un partito che conduca le stesse battaglie leghiste da Roma in giù: «E bisogna farlo presto per evitare che la cosa possa essere interpretata come una semplice operazione pre-elettorale».
Anche ai tempi di Bossi ci furono ripetuti tentativi di creare una sorta di Lega meridionale. Iniziative messe insieme alla rinfusa un paio di mesi prima di qualche chiamata alle urne. Risultati sempre allo zero virgola qualcosa. «Adesso che Forza Italia è davvero in crisi, invece, abbiamo l’occasione di fare breccia da Roma in giù». Davanti ai microfoni dice così: «Il patto del Nazareno è una follia, lo stanno capendo anche i berluscones, speriamo che il dibattito fra loro si avvii in maniera rapida». In privato ammette di contare sulla lunga durata dello stallo di Forza Italia.
Il nome del nuovo partito meridionale non contemplerà la parola Lega. Ci sarà però il nome di Salvini che, come dicono i leghisti di terza generazione, «è un brand da sfruttare». Finora è stato il senatore bresciano Volpi l’incaricato di cercare adepti oltre la linea gotica. D’ora in poi se ne occuperà direttamente il segretario federale. «Prima di dicembre prepareremo una carta dei valori da portare in giro per il Centro-Sud. Intorno a quella carta chiederemo consensi e organizzeremo gruppi politici che sappiano tradurre le nostre richieste sulla base delle esigenze del territorio».
Quindi: lotta all’euro, stop all’immigrazione, tassa unica al 15 per cento, welfare destinato in prima battuta agli italiani, sgravi fiscali per le famiglie. «Queste sono le cose che ci hanno fatto vincere in Emilia. Berlusconi ha troppi interessi da difendere per starci dietro, il malcontento della gente che abita da Roma in giù lo possiamo raccogliere noi». Nella sua testa significa poter diventare il primo partito del centrodestra sommando i voti della Lega con quelli di questo iotetico Carroccio meridionale. In pubblico dice: «Fossi Renzi comincerei a preoccuparmi». In privato: «Fossi il Cavaliere mi preoccuperei ancora di più».