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Data: 26/11/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Jobs act, ok Camera senza la minoranza Pd

ROMA «Senza il voto di fiducia, più tutele, lavoro e diritti: grazie ai deputati della maggioranza». A caldo, Matteo Renzi preferisce ignorare la defezione della minoranza del Pd al voto sul jobs act che arriva addirittura con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia. 316 voti a favore, solo sei i contrari (tra cui Pippo Civati) perché le opposizioni e una trentina di dem lasciano l’Aula. Tra giustificati e in missione tuttavia il dato politico di dissenso è riferibile solo ai ventinove che firmano un documento e presentano con Stefano Fassina i punti critici. «Delega migliorata» dice l’esponente della sinistra che riconosce il lavoro della commissione Lavoro ma «non possiamo votare a favore, rimane un giudizio negativo su punti decisivi». La pattuglia dei critici che poi ha spiegato le ragioni anche in una conferenza stampa, punta il dito sulla «cancellazione del reintegro per i licenziamenti ingiustificati che penalizza i nuovi assunti e contraddice il contratto a tutele crescenti». Non convince poi la parte della delega «generica e senza risorse» che dovrebbe allargare i diritti mentre resta ancora la selva di contratti precari. Giudizi di merito ma anche politici quando Fassina chiama in causa Renzi «per le sue parole che non hanno aiutato, alimentando il clima difficile e le tensioni sociali» che hanno accompagnato il provvedimento in queste settimane. La frattura si consuma dopo una giornata in cui il dissenso non riusciva a trovare il canale giusto anche dopo l’appello di un leader come Bersani che pur non essendo convinto su molti aspetti, aveva deciso di votare a favore per disciplina. «Sono stato il segretario del partito e questo per me conta ancora» dice ai cronisti sottolineando la mancata occasione della riforma che si è concentrata sull’articolo 18 rinunciando ad altri aspetti. «Io penso che per creare lavoro servano investimenti, produttività e contrattazione decentrata, perciò non mi dicano che sono conservatore perché m’incazzo». La minoranza trova la via d’uscita dell’aula come soluzione più soft. Tra i firmatari anche il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, l’ex ministro Massimo Bray, Alfredo D’Attorre e Barbara Pollastrini. Una scelta che però non piace ai ribelli come Pippo Civati che alla fine spacca la fronda, tiene il punto e vota contro insieme a Luca Pastorino. Per un voto unitario si era speso anche il presidente del Pd Matteo Orfini, che fino all’ultimo ha provato a convincere i dissidenti. Ora nel partito ci si chiede quanto questa rottura potrà influire in Senato, dove la delega dovrà affrontare la terza lettura. Tuttavia non solo Renzi, anche il ministro del Lavoro Poletti non sembra preoccupato: «C’era una discussione, il dissenso era prevedibile ma anche chi non ha condiviso il testo ha riconosciuto che la delega è stata migliorata e i cambiamenti introdotti». Le novità, secondo il ministro, saranno norme più chiare e semplici per le imprese, l’estensione degli ammortizzatori sociali diffusi e politiche attive per il lavoro che in Italia non si sono mai fatte. Regole che ci allineano alla dimensione europea». La maggioranza così prova a mettere in luce tutti gli aspetti delle 5 deleghe approvate, non solo quella riferita ai contratti e all’articolo 18 che ha intossicato il dibattito. Proprio quello contro cui si scagliano le opposizioni: «Un provvedimento che è una porcata, non si crea occupazione limitando i diritti» ha attaccato il deputato Tripiedi del Movimento 5 Stelle. Statuto dei lavoratori listato a lutto per Sel che però sui social network incassa le critiche per l’abbandono dell’aula: «Quando si è contrari, si vota no» scrivono i militanti. Critiche opposte da Forza Italia che giudica la riforma poco coraggiosa: «Un grande imbroglio, senza risorse, senza flessibilità senza pudore» accusa Brunetta. Non dissimile il giudizio del leghista Prataviera secondo cui la maggioranza «ha consegnato al governo un assegno in bianco privo di contenuti».

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