|
|
|
Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.940
|
|
|
|
|
|
29/11/2014
Il Centro
|
D’Alfonso, con le prescrizioni il maxi processo diventa mini. L’inchiesta per tangenti in Comune, l’appello non è stato ancora fissato e intanto il tempo ha già cancellato una ventina di reati tra corruzioni e truffe. Resistono i peculati e l’associazione |
|
PESCARA I conti di Luciano D’Alfonso e la famiglia chioccia, la villa di Lettomanoppello, il rapporto con Carlo Toto e gli altri imprenditori: i perni dell’accusa dell’inchiesta per presunte tangenti in Comune arriveranno in appello già bruciati dal tempo, prescritti, vanificando in parte il ricorso furibondo che il pm Gennaro Varone firmò definendo «ridicola la difesa di D’Alfonso di aver vissuto con il denaro della zia». Cosa è prescritto e cosa resta in piedi. Il secondo round del processo che nel 2008 segnò il declino dell’allora sindaco di Pescara risorto nel febbraio 2013 in un’aula diventata arena per l’assoluzione di massa non è stato ancora fissato e nonostante l’attesa moltiplichi le voci – si disse di un appello prima dell’elezione del governatore e adesso nei primi mesi dell’anno – i giudici aquilani non hanno ancora deciso quando affrontare quel poco che resta di una carneficina, oltre una ventina, di capi d’imputazione: già prescritti quasi dieci episodi di corruzione, sei di truffa, spazzati via gli abusi e la turbativa d’asta. Arriveranno al 2015 e oltre, invece, la tentata concussione che chiama in causa D’Alfonso e il suo ex braccio destro Guido Dezio e il sospetto di una presunta tangente da 20 mila euro insieme al reato di associazione per delinquere, i falsi e ad alcuni episodi di peculato tra cui un biglietto aereo che l’ex sindaco – sostiene il pm – pagò al figlio con i soldi del Comune. Cancellata la corruzione tra D’Alfonso e Toto. E’ la lentezza della giustizia, stavolta, a puntellare l’accusa che nell’ottobre 2013 inviò un ricorso rabbioso alla Corte d’appello tornando a chiedere la condanna di D’Alfonso e altre 18 persone ma a non lasciare molto spazio neanche alle difese che, com’era accaduto in primo grado, vorrebbero uscire immacolate anche in appello. E, invece, ci ha già pensato il tempo ad annichilire il cuore dell’inchiesta e a chiudere la porta, ad esempio, a quello che la procura considerò il rapporto simbolo della corruzione: quello tra l’allora sindaco e gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto che parlava attraverso le contestazioni, prescritte, di corruzione e di turbativa d’asta. Amicizia o voli in cambio dell’appalto dell’area di risulta? Il verdetto del primo grado aveva messo una pietra sopra su quell’amicizia che per il pm era stata sospetta mentre per l’ex sindaco cristallina perché, come l’imputato disse con una dalfonsata al pm che gli faceva l’elenco dei voli e dei viaggi “a scrocco”, «si può dire che io fossi tra i dami di compagnia dei Toto». Ma ci si fermerà all’assoluzione del primo grado anche per altri episodi di corruzione perché il tempo trascorso non dirà se aveva ragione l’accusa a dire che D’Alfonso «è stato il sindaco che ha speso 96 euro in un anno con la carta di credito» o la difesa che sfoderò la famiglia a sostegno dell’ex sindaco che, candidamente, raccontò: «Sono l’unico soldato abile a gestire le risorse della mia famiglia». Prescrizione sarà anche per i reati dietro la villa di Lettomanoppello e quei prezzi considerati stracciati. La presunta tangente per il bar. C’è un capitolo incisivo dell’inchiesta che, però, non è stato ancora abbattuto ed è quello che riguarda la tentata concussione secondo cui Dezio avrebbe chiesto 20 mila euro alla titolare del bar del tribunale, in cambio dell’aggiudicazione definitiva del servizio «agendo su mandato di D’Alfonso». Dezio, in primo grado, è stato assolto da quest’accusa così come dalle altre, ma la tentata concussione è uno dei reati che arriverà in appello insieme ai falsi, all’associazione e al peculato di D’Alfonso accusato – e scagionato in primo grado – per aver usato i soldi del Comune per pagare il biglietto in Spagna al figlio.
|
|
|
|
|