ROMA Il luogo dove risuonano le parole di Matteo Renzi, affidate ad un videomessaggio, è altamente simbolico. Una fabbrica di Mirandola, una di quelle colpite dal terremoto del 2012 e tornata ad agosto di quest’anno a produrre. L’occasione è l’assemblea della Cna, la confederazione degli artigiani. Le parole con le quali il premier saluta la platea sono lusinghiere, esplicite, un vero endorsement. «Chi si alza la mattina mettendo in gioco tutto», dice riferendosi agli imprenditori che lo ascoltano, «è un eroe dei tempi nostri, della quotidianità». Ma il parallelo imprenditore-eroe, pronunciato da un leader della sinistra, non è piace per niente al segretario della Cgil Susanna Camusso, che ha subito replicato: «Il premier dovrebbe ricordarsi che se gli imprenditori hanno attraversato questa crisi è perché c’erano i lavoratori con i loro sacrifici». Un incrociar di lame, anche questo, che ormai appartiene alla quotidianità. Allo scambio, in veste di pompiere, stavolta partecipa anche il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi. «Tutti gli italiani», dice, «sono eroi in questo momento. Si tratta di polemiche sterili». Polemiche a parte, anche nel videomessaggio di Mirandola, Renzi prova a spargere ottimismo. Se il presidente della Cna, Daniele Vaccarino, lamenta il peso del fisco «ormai a livelli incompatibili con lo sviluppo del Paese», il premier rivendica la riduzione fiscale da 18 miliardi di euro: dal bonus di 80 euro all’Irap. E poi promette. S’impegna alla riforma del fisco, della giustizia, alla semplificazione della burocrazia che, dice, «stritolerebbe anche un leone». Parole che suonano come musica per gli artigiani. Che però non nascondono preoccupazioni e lagnanze. Come quelle sul jobs act. Bisogna scongiurare, chiede Vaccarino, «il rischio che si introducano nelle imprese, con meno di 15 dipendenti, oneri nuovi e difficilmente sostenibili». Ma il punto vero è un altro. Per Vaccarino cambiare verso, come dice Renzi, non è semplice. «È sempre con un sentimento misto di rabbia e incredulità che noto», spiega, «quanto sia radicata nella politica, nella cultura economica e giuridica e nei media, la tendenza a non riconoscere la centralità del nostro mondo di impresa. Quanto sia radicata l'abitudine», dice, «a non impegnarsi in modo continuativo nella costruzione di strumenti, di misure, di politiche funzionali ad un sistema di oltre 4 milioni di micro e piccole imprese che contribuiscono, in modo decisivo, alla ricchezza del Paese, al suo benessere sociale».