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Data: 04/12/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Jobs act - Lavoro, la riforma è legge: l’art. 18 non si applicherà ai nuovi assunti. Renzi: l’Italia cambia davvero, avanti con le riforme e in primavera tagli alle partecipate. Corteo con tafferugli e tre feriti vicino al Senato

ROMA Il governo Renzi nel tardo pomeriggio di ieri è riuscito a trasformare in legge la prima, vera, profonda, riforma strutturale fra le molte promesse: quella del lavoro. Il voto definitivo del Senato sul Jobs Act è stato velocizzato con la trentaduesima fiducia (non usata alla Camera) portata a casa con 166 sì, 112 no, un astenuto. Un passaggio discusso (per venerdì 12 è indetto uno sciopero generale di Cgil e Uil) passato tutto sommato in tono minore fra le solite scene da ”opposizione dura” dei senatori di Sel che hanno inalberato cartelli di protesta, i mal di pancia di alcuni (meno delle dita di una mano) senatori della sinistra Pd e alcune manifestazioni tenute non lontano da Palazzo Madama con disordini e tre feriti indette dagli appartenenti a quella che si definisce ”area sociale”.
LE NOVITÀ
In attesa dei decreti attuativi del Jobs Act, i primi dei quali dovrebbero arrivare prima di gennaio con l’introduzione del nuovo contratto per i futuri neo assunti (a tempo indeterminato ma con la possibilità del licenziamento con indennizzo crescente a seconda degli anni di lavoro e quindi senza art.18), il premier Matteo Renzi ha incassato la vittoria con il più classico dei tweet cui ci ha abituato: «L'Italia cambia davvero. E noi andiamo avanti». In mattinata il premier aveva annunciato a margine di un convegno che in primavera - dopo la legge elettorale e il nuovo passaggio parlamentare sulla riforma del Senato - il governo presenterà il provvedimento per la riduzione delle società partecipate da Comuni e Regioni per nuove liberalizzazioni.
Poco prima del tweet del presidente del Consiglio era stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a sottolineare che il testo era stato significativamente cambiato alla Camera (un omaggio alla sinistra Pd che ha tenuto in piedi l’articolo 18, e quindi la reintegra, in alcuni casi di licenziamento di chi già lavora) ma che i primi decreti sarebbero stati emanati a tambur battente. Nel corso del 2015 dovrebbero arrivare molte novità come il maggior spazio ai contratti aziendali rispetto a quelli nazionali, probabilmente il salario minimo fissato per legge in via sperimentale e il Codice semplificato del lavoro.
Oltre al durissimo giudizio del leader di Sel, Nichi Vendola: Smantellano la civiltà del lavoro e lo chiamano Jobs Act» vanno segnalati i pesanti insulti rivolti su Facebook ad Antonio Boccuzzi, l’operaio Uil che scampò al rogo del 2008 alla Thyssen di Torino, che in quanto deputato Pd ha votato a favore del Jobs Act.
I lavori parlamentari si sono svolti mentre, fuori da palazzo Madama, sfilava il corteo organizzato dal Laboratorio nazionale per lo sciopero sociale. Obiettivo dei manifestanti: raggiungere Palazzo Madama. Alle 14.30 un gruppo di manifestanti ha lanciato uova e ha tentato di forzare il cordone di poliziotti schierato a difesa del Senato. Nei tafferugli sono stati feriti tre studenti.

Reati gravi e maxi-indennizzo, va sciolto il nodo dei licenziamenti disciplinari

ROMA E ora subito al lavoro sui decreti attuativi. Il primo è già in cottura: quello sul contratto a tutele crescenti e quindi sulle modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. L’obiettivo del governo - ribadito ieri dal ministro del Welfare Giuliano Poletti - è di «procedere speditamente» di modo che già da gennaio le imprese possano assumere con il contratto a tutele crescenti, beneficiando della decontribuzione per i primi tre anni di assunzione (con il limite di 8.060 euro l’anno) prevista dalla legge di Stabilità. In ogni caso legge e decreti delegati entreranno in vigore il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
I lavori fervono. In queste ultime settimane, e anche nelle ultime ore, si sono susseguite varie riunioni. Il vero regista dell’operazione è il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei. È lui che sta tirando le fila all’interno della maggioranza che appoggia il governo, cercando di mediare tra i freni della minoranza Pd e le corse in avanti dei centristi, a partire da Ncd e Scelta civica. Il decreto dovrebbe essere poi varato dal Consiglio dei ministri nella settimana prima di Natale, ma comunque dopo il 12 dicembre, giorno dello sciopero generale di Cgil e Uil.
IL NODO DEI DISCIPLINARI

La delega modifica radicalmente le regole sui licenziamenti individuali per i nuovi assunti. La tutela reale (reintegro) prevista dall’articolo 18 resta per i licenziamenti nulli e discriminatori, mentre viene cancellata per i licenziamenti per motivi economici e per la gran parte dei disciplinari. In questi casi - se il licenziamento è ingiustificato - al lavoratore spetterà un indennizzo. Il decreto dovrà definire le «specifiche fattispecie» dei disciplinari per le quali sarà ancora possibile ricorrere al giudice chiedendo il reintegro. Sul tavolo in questo momento ci sono due opzioni: prevedere la possibilità di reintegro solo per i reati perseguibili d’ufficio (quelli molto gravi); ampliare la casistica sul solco della recente sentenza della Corte di Cassazione («insussistenza fatto materiale»). In questo caso al datore di lavoro sarebbe concessa la possibilità di non reintegrare il dipendente che ha avuto sentenza in tal senso, dietro erogazione di un super-indennizzo (opting out). Entrambe le opzioni sono mal viste dalla minoranza dem. «Con l’opting out nei fatti non ci sarebbe più reintegro. Sono totalmente contrario» sibila Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro di Montecitorio.
Si lavora anche sull’entità dell’indennizzo. Sul tavolo c’è l’ipotesi di 1 mensilità e mezza per ogni anno di lavoro, fino a un massimo di 24 mensilità. Ma anche in questo caso la minoranza dem spinge per una base di partenza più sostanziosa (attualmente nelle aziende con più di 15 dipendenti l’indennizzo è compreso tra 12 e 24 mensilità). Non dovrebbero essere alzati gli attuali tetti (massimo 6 mensilità) per le aziende sotto la soglia dei 15 dipendenti. Per incentivare il ricorso alla conciliazione, infine, è allo studio la possibilità di defiscalizzare i risarcimenti economici.

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