TERAMO In entrambi i versanti, aquilano e teramano, le problematiche di questi ultimi giorni stanno mostrando una realtà sfaccettata e abbastanza complessa per il futuro del Gran Sasso. Due versanti che si possono considerare in declino da qualche decennio, due stazioni sciistiche che non hanno saputo rinnovarsi, in bilico tra un presente fatto di una chiusura evitata in extremis (Teramo) e un futuro ricco di progettualità e di corposi investimenti, tra cui i 20 milioni di euro che il sindaco Massimo Cialente assicura per l'Aquila, passando per l'idea dell'ex presidente del Parco Gran Sasso-Laga, Walter Mazzitti, che incassa consensi (tra cui quello di Daniel Kihlgren, promotore di Santo Stefano di Sessanio) per candidare il massiccio abruzzese a far parte della lista Unesco dei patrimoni naturali dell'umanità.
SI’ AL PRIVATO
Il Gran Sasso ha bisogno di un cambio di passo per tornare quello di una volta. Nel 1934 la stazione sciistica aquilana, assicura Cialente, «era tra le più moderne d'Europa», poi il crepuscolo da addebitare «ad una gestione pubblica della cosa fatta di pochi investimenti; mentre il mondo camminava nessuno si è preoccupato di attuare progetti di sviluppo e al contempo calavano le manutenzioni. Con la giunta Centi si sono persi 400mila euro all'anno, con Tempesta si sono fatte 22 assunzioni, per un totale di 35 addetti presenti, 10 per ogni impianto, è chiaro che si spendeva più di quanto si incassasse». Mai più pubblico sul Gran Sasso aquilano è il jingle di Cialente. Difatti il prossimo bando per la gestione degli impianti è rivolta al privato: «In ballo ci sono 20 milioni di investimenti che giungono dal terremoto e da fondi europei». Sulla recente situazione del Consorzio Turistico Gran Sasso e sulla ventilata ipotesi di chiusura della stazione, il sindaco dice: «E' una tafazzata; i dipendenti verranno pagati, il problema non esiste».
GLI ANNI D’ORO
Sull'altro versante ancora ci si crogiola per i fasti celebrati tra il 1968 (data di nascita dei Prati di Tivo) e i primi anni '80, periodo dell'oro della località sorta da un'idea di Di Lodovico ma battezzata da tre famiglie: Parogna, Montauti e Amorocchi. «In quel periodo -racconta la memoria storica Doriano Di Benedetto- il successo fu incredibile, i Prati erano una delle poche realtà del Centro Italia, i posti letto arrivavano a mille». Dall'82 il lento declino «perché non si sono adeguati gli impianti di risalita mentre le altre stazioni abruzzesi portavano via i clienti». Prati di Tivo è stata ferma anche una stagione agli inizi del 2000. L’accordo raggiunto ora in extremis per la gestione della cabinovia scongiurerà una stagione senza impianti di risalita.