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Data: 05/12/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Angelino Alfano - «Sciogliere il Comune di Roma? Andiamoci con i piedi di piombo»

Roma è una città sana, la Capitale d’Italia: prima di procedere a un eventuale scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, avverte il ministro dell’Interno Angelino Alfano, è bene «procedere con i piedi di piombo».
Ministro, la vicenda portata alla luce dall’inchiesta romana rivela fatti di una assoluta gravità, una sorta di salto di qualità per il vero e proprio groviglio tra criminalità comune e malaffare politico che, a quanto pare, ha condizionato la vita della Capitale per oltre 10 anni. Qual è la sua valutazione?
«Prima di avventurarci in qualsiasi valutazione occorre studiare la corposa ordinanza del procuratore Pignatone. Solo dopo saremo in grado di prendere una decisione ponderata con la massima attenzione possibile visto che si tratta, a maggior ragione, della Capitale del nostro Paese. Gli organismi investigativi, sotto la guida delle procure distrettuali, da tempo hanno elaborato modelli investigativi che trascendono il sistema di classificazione delle associazioni mafiose su base locale, che – invece – guardano al metodo mafioso come sistema di gestione di attività economiche che vedono interessati settori del mondo produttivo e della politica. Alla base di tutto, però, vorrei fare una considerazione: le inchieste, per loro natura, partono da un atto della pubblica accusa. E certo non possono risolversi in quell’atto, altrimenti cadremmo nella giustizia sommaria che confligge con la cultura del diritto, prima ancora che del garantismo. Si deve fare, quindi, affidamento sulle capacità di chi dirige l’inchiesta e il dottor Pignatone è magistrato di altissimo livello. Di certo, si resta colpiti nel leggere gli atti dell’inchiesta, nel sentire alcune intercettazioni. Ma oltre non ci si può spingere, se non per ribadire che - per riconquistare il rapporto con i cittadini - è necessario battersi contro chi sbaglia, contro coloro che rendono al Paese un’immagine distorta delle istituzioni. E’ la politica deviata il nemico da combattere. In questo momento, dinnanzi agli atti dell’inchiesta che vengono messi a conoscenza dell’opinione pubblica, bisogna avere la forza di dirlo: le istituzioni sono il baluardo della libertà e della democrazia e bisogna preservarle dalla politica deviata, salvo il principio per noi inderogabile della presunzione di innocenza».
Ci sono elementi che i suoi uffici le hanno riportato e che l’hanno colpita in modo particolare?
«Affrontiamo la grave questione con equilibrio, ignorando qualsiasi tipo di condizionamento mediatico e curando tutti gli aspetti rilevanti sotto il profilo tecnico giuridico. Il livello di inquinamento della gestione dei fondi pubblici conferma, comunque, l’opportunità delle scelte fatte in materia di corruzione con la costituzione di un’apposita Autorità, visto che gran parte dei livelli decisionali sono ormai confluiti negli enti locali e società partecipate».
Il vero e proprio racket intorno ai centri di accoglienza per immigrati e rom potrebbe estendersi anche fuori dal caso Roma?
«Non posso escluderlo, anche se la vigilanza da parte nostra e nei termini di nostra competenza è costante. E tuttavia voglio sottolineare che quanto sta emergendo non deve dettare ombre sul sistema d’accoglienza che vede impegnate sinergicamente istituzioni, realtà territoriali e mondo associativo».
Il prefetto di Roma non esclude che possano esserci gli estremi per procedere a uno scioglimento per mafia dell’amministrazione capitolina. E’ davvero un’eventualità di cui state discutendo in queste ore al Viminale?
«Ripeto quanto detto prima e cioè che gli elementi emersi dalle indagini richiedono una valutazione attenta per verificare se si integrino i presupposti per l’adozione delle misure previste. Del resto, abbiamo sempre affrontato casi analoghi con oculatezza e grande senso di responsabilità. Da quando sono ministro dell’Interno sono stati sciolti sedici Comuni e ci sono sette accessi ispettivi in corso. Tra questi, per la prima volta, vi è anche un’azienda municipalizzata».
Intende portare il caso Roma all’attenzione del Consiglio dei ministri?
«Ci sono diverse fasi procedurali. Nella prima fase, cioè questa, non è previsto che il ministro dell’Interno debba fare un passaggio in Consiglio dei Ministri. Qualora, invece, si ravvisassero gli elementi per uno scioglimento, allora sarebbe indispensabile un confronto in quella sede. Ma non siamo in quella fase e sullo scioglimento non si decide con emotività ma a seguito di precise, puntuali e non brevi valutazioni tecniche. Di una cosa sono convinto: anche, e ripeto anche per togliere ossigeno alla politica deviata, va riformato il sistema delle municipalizzate. E’ un’idea che porto avanti da tempo e che si impone nel dibattito di governo non sull’onda delle inchieste giudiziarie ma alla luce di un necessario taglio di quelli che considero rami grassi della struttura pubblica: enti cioè che assorbono risorse da utilizzare diversamente».
Se si arrivasse effettivamente allo scioglimento del Comune di Roma, i romani tornerebbero alle urne per eleggere il nuovo sindaco a maggio o già con le regionali di marzo?
«Mi pare che lei insista e quindi sarò ancora più chiaro: sullo scioglimento andiamo tutti, e io per primo, con i piedi di piombo. Ricordo peraltro che stiamo parlando della Capitale d’Italia e che stiamo parlando di una città sana nella quale va punito chi ruba, non la città».
Il ricorso da parte della procura al 416bis, vale a dire all’aggravante mafiosa, le appare adeguato visti i contorni dell’inchiesta? Non c’è il rischio che risulti processualmente sproporzionato per alcuni degli indagati romani (mi riferisco in particolare ad alcuni dei politici coinvolti), con un effetto-boomerang per l’accusa?
«Sono certo che la Procura di Roma abbia ben chiaro il contesto in cui opera e che abbia ben ponderato le singole imputazioni proprio per escludere ogni rischio del genere. Ripeto: siamo ancora nella fase dell'accusa».
C’è da ritenere che il concetto stesso di “mafia” sia oggi mutato, senza più cioè riferimenti territoriali ma piuttosto a sistemi complessi, particolarmente protetti e nascosti – come ha scritto Graldi sul nostro giornale – dell’organizzazione criminale?
«Il metodo mafioso non è solo ascrivibile alle tradizionali organizzazioni, ma ne fanno uso diverse associazioni delinquenziali. Siamo perfettamente in grado di seguire ogni eventuale evoluzione del sistema criminale e le nostre leggi sono adeguate a questo scopo. Quello che vale è il metodo: la forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquistare in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Certo, non si tratta più di una organizzazione delocalizzata rispetto ai tradizionali territori di origine, ma, piuttosto, di un qualcosa di diverso. In sostanza, non è una succursale di cosa nostra, ma un'organizzazione che ne usa il metodo, è questa la parola chiave di tutto».
Un ultimo riferimento tutto politico. C’è chi ha già sostenuto che la vicenda della “mafia Capitale”, per il nesso malaffare-politica, ha definitivamente fatto tramontare l’ipotesi del ritorno alle preferenze nella nuova legge elettorale. Condivide, ministro?
«Non condivido affatto: vogliamo fare l’elenco degli arrestati eletti con le liste bloccate?».

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