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Pescara, 24/11/2024
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Data: 06/12/2014
Testata giornalistica: Il Centro
S&P declassa l’Italia, il jobs act non serve. A un passo dal livello “spazzatura”. Palazzo Chigi: «Nessuna bocciatura, chiedono di andare più veloci con le riforme»

ROMA Inaspettato, ma non troppo, l’Italia perde un’altra posizione nel rating sull’affidabilità del suo debito. L’agenzia Standard&Poor’s ha abbassato il voto da BBB, con outlook negativo, a BBB- con outlook stabile ad un solo passo dall’ultimo gradino “spazzatura”. La decisione, ha spiegato S&P in un comunicato, «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil reale e nominale dell’Italia, inclusa l’erosione della competitività, che sta minando la sostenibilità del suo debito pubblico». «Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri». Poi l’agenzia di rating entra nel dettaglio delle riforme del governo Renzi: «Abbiamo notato che sono stati compiuti alcuni progressi con il jobs act ma non crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine. Come conseguenza il già elevato tasso di disoccupazione, potrebbe peggiorare fino a che non arriverà una sostenibile ripresa economica». Da Standard and Poor’s non è arrivata alcuna bocciatura del jobs act - ribattono fonti di governo - che considerano anche come la stessa agenzia di rating individui elementi buoni nelle riforme strutturali, ma non tali da compensare un aumento del debito e risvegliare l’economia nel breve tempo. «Non è una bocciatura - si sottolinea ancora - anzi. Dicono che le riforme vanno bene, ma che bisogna andare ancora più veloce». Il taglio del rating arriva il giorno dopo il rinvio dell’attesissimo quantitative easing da parte della Bce, quando il governatore della Banca d’Italia ha spiegato che il rischio deflazione rappresenta il maggior rischio. «Se si hanno variazione dei prezzi così basse o negative, le conseguenze possono essere gravissime per le economie con un debito pubblico molto alto, come l’Italia», è l’allarme lanciato da Ignazio Visco. Sul rischio deflazione influisce anche l’andamento del prezzo del petrolio, a cui «bisogna stare molto attenti», ha sottolineato. Il calo può avere infatti effetti positivi sull’economia reale, ma anche portare a «prevedibili variazioni negative dei prezzi». Visco ha ricordato che l’inflazione così bassa potrebbe perdurare a lungo. In questo quadro «lo sforzo della Bce è di contrastare questa tendenza e di evitare che da bassa inflazione si passi a deflazione». Le conseguenze sarebbero infatti gravissime per i Paesi con debito pubblico alto. Subito dopo è intervenuto ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha sostenuto senza indugi l’ipotesi del QE e chiarito che «se ci fosse un’inflazione in equilibrio all’1,8%, una crescita reale dell’1% e una crescita nominale di circa il 3%, il debito pubblico sarebbe in un sentiero di discesa rapidissimo». Padoan ieri mattina era intervenuto a Francoforte per spiegare e difendere la posizione italiana: «Per capire la sostenibilità del debito italiano occorre guardare al surplus primario, che solo la Germania con l’Italia ha mantenuto positivo», ha detto citando la «doppia sfida» posta dalla bassa crescita e dallo stock di debito. Padoan ha poi ricordato i «molti provvedimenti» per rilanciare la crescita «i cui risultati si vedranno nel tempo» e l’impegno alle privatizzazioni. «Non vorrei essere nei suoi panni», ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble a Padoan, riferendosi alle riforme cui sta lavorando e dicendo di avere «molto rispetto» per quanto fatto finora dall’Italia, che «va nella giusta direzione». L’ipotesi del QE della Bce ieri ha rilanciato i mercati finanziari (con Milano regina con un +3,41%) e spinto lo spread ai minimi dal maggio 2010 a 120 punti. Ma la strada degli acquisti dei titoli di stato non è per nulla semplice: «La Bundesbank si trova in una posizione molto difficile», ha affermato il presidente Jens Weidmann riferendosi alla possibilità di un programma di quantitative easing e sottolineando che «i trattati europei escludono una mutualizzazione dei rischi».

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