ROMA La bocciatura c’è. Ed è sonora. Accanto alla tripla B dell’Italia, l’agenzia Standard &Poor’s mette il segno meno. È l’ultimo gradino prima che i Bot e i Btp vengano qualificati come «spazzatura», costringendo fondi d’investimento e fondi pensione ad alleggerire la loro esposizione su debito di Roma. A pesare sul giudizio è, ancora una volta, la mancanza di un’adeguata crescita economica. Per Standard&Poor’s l’economia italiana continuerà ad arrancare il prossimo anno, quando il Pil non andrà oltre lo 0,2% contro lo 0,6% stimato dal governo. Una situazione che, insieme alla bassa inflazione, spingerà il debito a livelli record, fino ad un massimo di 2.256 trilioni nel 2016, quanto toccherà il 133,4% del Pil. Sono ben 80 miliardi di euro in più di quanto la stessa agenzia aveva stimato nelle sue precedenti previsioni. Una situazione, spiegano gli analisti di S&P, incompatibile con un giudizio di tripla B. Eppure, a leggere il documento integrale, l’agenzia lancia una serie di funi al governo per permettergli di risalire la china e con essa la scala del rating. A cominciare dall’implementazione delle riforme, prima fra tutte il jobs act. Su come verranno scritte le norme sul lavoro si giocherà, agli occhi di Standard&Poor’s la credibilità di Matteo Renzi. Se «verranno rimossi gli ostacoli creati dalle tasse e dalle leggi sul lavoro», sarebbe un fatto che nella visione di S&P potrebbe far rivedere in positivo il giudizio.
VEDUTE DIFFERENTI
Ma meglio essere prudenti e attendere i decreti attuativi della riforma. Il rischio, secondo S&P, è che le norme possano essere annacquate per colpa di un’opposizione crescente alle misure. Messa così, insomma, sembrerebbe quasi una sponda al governo per fare presto e bene sui decreti attuativi della delega sul lavoro. In realtà la visione dell’agenzia di rating è distante da quella dell’esecutivo Renzi. Per Standard&Poor’s il jobs act non creerà lavoro nel breve termine. Anzi, la sua utilità sarebbe un’altra: quella di accelerare una svalutazione del lavoro con un abbattimento dei salari reali che, spiegano gli analisti, nonostante l’alta disoccupazione sono comunque aumentati del 12%. Questo potrebbe far «recuperare competitività», dicono gli analisti, come già accaduto in Spagna e Portogallo. In questo il governo dovrebbe prendere in considerazione anche il decentramento delle trattative salariali a livello aziendale. In realtà la prospettiva di Renzi e del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è diversa. Il governo sta cercando di abbassare il costo del lavoro per far recuperare competitività alle imprese, attraverso una riduzione del carico fiscale (soprattuto sull’Irap). Sul versante dei salari, invece, il tentativo di Renzi, attraverso il bonus da 80 euro e il Tfr in busta paga, è quello di aumentare il salario reale e la capacità di spesa per rianimare il mercato interno. Esattamente l’opposto della visione dell’agenzia americana. Insomma, se da un lato S&P sostiene che «potrebbe considerare di alzare il rating se il governo implementasse completamente le riforme sul lavoro e sul mercato dei prodotti e dei servizi», portando il Paese su un sentiero sostenibile di crescita, dall’altro è altrettanto vero che la filosofia di fondo delle riforme, come ha spiegato lo stesso Renzi, è diversa da quella ventilata da S&P. Su questo sottile filo si giocherà la partita tra Roma e gli economisti dell’agenzia di rating. Che comunque il loro avviso lo hanno messo nero su bianco nel documento: «Potremmo abbassare il rating se dovessimo concludere che il governo non è in grado di ripristinare la crescita e rafforzare le finanze pubbliche». Insomma, S%P è pronta a dare l’ultima spinta e gettare nella spazzatura il debito di Roma. Qualcosa in più di una semplice moral suasion nei confronti del governo nel momento in cui si appresta a scrivere i decreti attuativi della riforma del lavoro.