E dunque viva le fusioni. Tutti ormai vogliono fondersi, o promettono di farlo. Sono in via di fusione le tre società regionali di trasporto, gli enti strumentali, le agenzie regionali, qualche Comune. Si sono già fuse le direzioni regionali e hanno cambiato nome. Ora si chiamano dipartimenti. Dopo ogni scandalo si pensa di fondere le Regioni in Macroregioni. E sulle Asl si sta ragionando. Si fondono le associazioni datoriali: oggi Confindustria Chieti incorpora la consorella di Pescara. I giovani industriali di Teramo si sono già fusi con quelli dell’Aquila. Tutti insieme vogliono fondersi in una unica grande Confindustria regionale. Si fondono le banche, le imprese, i partiti, i sindacati (se non ve ne siete accorti c’è già la Cisl Abruzzo-Molise). Tutti lì a fondersi perché porta efficienza e riduce i costi. D’accordo. E dopo? A chi affidiamo questi nuovi, più snelli e virtuosi organismi? A chi diamo la responsabilità di farne macchine veramente utili? Il problema è sempre quello del manico. Chi seleziona la classe dirigente? Come si fa a passare da una politica (e da una impresa) che privilegia le relazioni a una politica (e a una impresa) che privilegia le competenze? È la sfida che tutti abbiamo davanti. In Abruzzo più che altrove. Le fusioni vanno bene: riducono le poltrone (nel pubblico e nel privato) e la zavorra del sottogoverno. Ma non basta. Occorre mettere in campo istituzioni che funzionino, servizi efficienti e aziende di qualità. Per questo c’è bisogno che alla guida ci siano donne e uomini capaci, onesti, liberi. È un cambiamento di paradigma. Solo se fusione vuol dire fare selezione, la cosa può funzionare.