ROMA Dopo un lungo braccio di ferro, il ministro Lupi (Ncd) è stato costretto ad annullare la precettazione dei ferrovieri alla vigilia dello sciopero generale di Cgil e Uil. Ma la tensione resta e lo scontro non si placa. «No alla rassegnazione, no alle politiche del lavoro del governo che toglie diritti e certezze occupazionali». Con otto ore di sciopero generale del settore pubblico e di quello privato, oggi Cgil e Uil sfidano l’esecutivo Renzi nelle piazze e puntano a svuotare fabbriche, scuole e uffici. E a coinvolgere nelle 54 manifestazioni programmate in tutto il Paese anche disoccupati, precari e studenti, oltre ai pensionati in un’alleanza tra chi ha il lavoro e chi non ce l’ha o l’ha perso. L’obiettivo è cambiare il jobs act e la legge di stabilità, rimettendo al centro l’occupazione, le politiche industriali e dei settori produttivi in crisi, rilanciando i settori pubblici. In un clima di scontro già molto duro tra Cgil e Uil era arrivata mercoledì la decisione del ministro Lupi di vietare ai ferrovieri di scioperare. Una precettazione che era parsa ai sindacati «un intervento a gamba tesa» e che aveva costretto anche il premier Renzi a intervenire per affermare di «non condividere» i temi alla base della protesta ma che «il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione e noi lo rispettiamo». Le modalità dell’astensione dal lavoro prevedono il blocco generale della Pubblica amministrazione, della sanità, della scuola, dell’università, della ricerca, delle poste e delle telecomunicazioni, del trasporto pubblico locale con fasce orarie che variano da città a città, del trasporto aereo dalle 10 alle 18, del personale degli addetti ad autostrade e porti, delle ferrovie dalle 9 alle 16. Si bloccano le fabbriche, i cantieri, la grande distribuzione. I lavoratori poligrafici sono stati esentati per consentire ai quotidiani di garantire l’ informazione sulle ragioni e sullo svolgimento dello sciopero generale. Cgil e Uil (a differenza della Cisl che si è defilata) attaccano frontalmente il governo che col job s act, secondo Susanna Camusso leader della Cgil, «consegna la politica economica del Paese alle imprese». Il sindacato, ha aggiunto, «non può rassegnarsi alla rassegnazione. Non ci arrendiamo a un continuo degrado dei lavoratori e del Paese. Alzeremo la bandiera del lavoro, del lavoro di qualità» contro «l’arroganza del governo». Lo scontro con Renzi e le sue scelte di governo è totale: «Renzi ha consegnato la politica del Paese alle imprese. Il governo non ha idea di dove deve andare il Paese non pensa che tante vertenze andrebbero risolte con un provvedimento industriale che abbatta il costo dell’energia». Inoltre, attacca il leader della Cgil, il jobs act è iniquo perché con il meccanismo di sgravi «si incentiva la sostituzione dei lavoratori» e quindi i licenziamenti. Inoltre i decreti delegati del provvedimento «sono poco trasparenti» e i ministri competenti «desaparecidos e questo dopo che Renzi aveva detto che dovevano parlare con i sindacati per i decreti attuativi». Altro punto è la richiesta di rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Ad accrescere i toni dello scontro era arrivata anche la decisione del ministro Lupi di precettare i ferrovieri. Camusso e Barbagallo avevano parlato di «atto gravissimo» che «metteva in discussione una delle massime espressioni della democrazia» e di una «lesione del diritto di sciopero sancito dalla Costituzione». Renzi da Ankara, dove si trova in visita ufficiale, aveva risposto di rispettare il diritto di sciopero e sindacati. Renzi, visto il clima incandescente e la tensione, ha certamente indotto il suo ministro a una retromarcia. Aggiungendo che pur non pensandola come i sindacati «cambieremo il Paese anche per loro».