ROMA Lo ha già detto e lo ribadisce: gli scioperi in Italia sono diventati troppi e «la situazione rischia di degenerare». Intervistiamo il garante Roberto Alesse, a poche ore dallo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil contro la politica economica del governo: l’Italia si fermerà e si prevede un’altra giornata campale. Una montagna di disagi. Il garante ci mostra la sala dove la commissione si riunisce ogni lunedì: «Lei non sa quanta roba dobbiamo esaminare ogni settimana. Faldoni alti così. Proclamazioni di scioperi in ogni dove. L’emblema di un sistema al collasso». È il suo modo per evidenziare che sotto questo soffitto affrescato si sente fortissimo il ribollire della tensione sociale. Se il coperchio della pentola salta, si rischia grosso. Per cui è bene che tutte le parti «si siedano attorno a un tavolo e riprendano a parlarsi, in modo da rimuovere le cause che determinano l’insorgere e l’aggravamento del conflitto».
Presidente, non è la prima volta che lancia allarmi di questo genere. Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, l’ha accusata di invasione di campo.
«Vorrei ricordare che la legge affida all’Autorità non solo il compito di garantire il rispetto formale delle procedure, ma anche quello di dare un contributo in chiave di prevenzione del conflitto».
Con la precettazione dei ferrovieri da lei suggerita al ministro e poi revocata, però più che raffreddare gli animi si è rischiato di riscaldarli ancora di più.
«Lo sciopero è un diritto del lavoratore e tra l’altro pesa in busta paga, ma ci sono anche i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini utenti. Diritti che i continui scioperi negano e che l'Autorità ha il compito di tutelare. Sinceramente sono rimasto molto sorpreso dalla reazione dei sindacati. I quali sanno bene che la legge prevede che, tra un'azione di sciopero e l'altra nello stesso servizio pubblico essenziale, deve intercorrere un intervallo di 10 giorni. Poi è nelle responsabilità del ministro valutare l'opportunità della nostra segnalazione e fare scelte diverse motivandole».
Nel suo appello lei rispolvera una parola che gli ultimi governi hanno bandito dal loro vocabolario: concertazione.
«Tanto per chiarire: il mio invito è a una concertazione illuminata su specifiche questioni di alcuni settori strategici dei servizi pubblici essenziali che stanno vivendo situazioni patologiche. Penso al trasporto pubblico locale o alla raccolta rifiuti. In ogni caso non è la parola che conta, ma la volontà».
Non teme i famosi diritti di veto che per anni hanno paralizzato l’Italia, impedendo di andare avanti con le riforme?
«È vero, in certe fasi storiche la concertazione rispondeva a riti stantii. Ma non è che perché in passato si è ecceduto in un senso, ora bisogna eccedere nell’altro».
Ha ragione chi paragona il governo Renzi a quello della Thatcher?
«Mi limito a constatare un fatto: il nostro è un Paese molto complesso per la presenza di una pluralità di articolazioni sociali. Il tentativo di una “reductio ad unitatem” nel campo della gestione del governo del conflitto collettivo, è molto pericoloso».
(*) Presidente della Commissione di Garanzia dell'Attuazione della Legge sullo Sciopero nei servizi pubblici essenziali