ROMA Matteo Renzi congela lo strappo con la minoranza che era atteso da giorni ma non abbassa i toni. E così all’assemblea del Pd di ieri a Roma attacca evitando l’affondo decisivo: «Basta con i diktat di una minoranza«, dice. E ripete: «Esigo lealtà», «non è possibile restare nella palude per guardare il proprio ombelico». Toni alti ma da scaramuccia non da offensiva finale, tattica favorita forse anche dalle assenze di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. Comunque la minoranza non manca di replicare a tono per bocca di Stefano Fassina. Che a muso duro risponde senza mezzi termini: «La minoranza non fa diktat e non vuole andare al voto prima del 2018». Renzi non si permetta, avverte Fassina, «di fare caricature di chi la pensa diversamente» da lui. Quindi la sfida: «Se vuoi andare ad elezioni dillo, smettila di scaricare la responsabilità sulle spalle degli altri», ammonisce l’esponente della sinistra Dem.
A stretto giro di posta la contro-replica di Renzi: «Non ha senso tornare a votare a ogni intoppo: serve il coraggio e la voglia di andare avanti sul serio». «Il collega Shinzo Abe è andato al voto alla prima difficoltà? - sottolinea ancora il premier facendo riferimento alle elezioni anticipate in Giappone - Lo chiedo a Fassina: dobbiamo fare la stessa cosa? Io dico di no». Infine la bordata finale: «Non credo che ci siano delle caricature. Credo che ci sia un rispetto fondamentale, che è quello che a un certo punto si decide», ha detto il presidente del Consiglio e segretario del Pd.
ALTA TENSIONE
Insomma anche quella di ieri è stata una giornata ad alta tensione tra il premier e la minoranza pd. E anche Rosy Bindi, intervistata su Sky da Maria Latella non lesina critiche: «Nel discorso del premier non ho percepito una vicinanza al paese che soffre, riconosciamo la sua capacità di guardare al futuro, ma si deve stare accanto a quella parte di paese che proprio non ce la fa».
In realtà il premier nel suo discorso ha parlato soprattutto della natura e della missione del partito. «Il Pd non è il partito della nazione perché immagina chissà quali strane mutazioni genetiche, ma perché avere quei colori vuol dire che il Pd non si accontenta di vedere i sogni dell’Italia stuprati da anni di mal governo», ha sottolineato Renzi. Che poi ha inserito nel suo ragionamento un riferimento nuovo e forte al passato del centro-sinistra.
«Noto un certo richiamo all’Ulivo molto suggestivo e nostalgico, ricordo cosa diceva l’Ulivo sul bicameralismo, quello che non ricordo è come si possa aver perso vent’anni di tempo senza aver realizzato le promesse delle campagne elettorali. Abbiamo perso vent’anni di tempo. Noi dobbiamo recuperare il tempo perduto da altri e lo faremo a viso aperto e con la schiena dritta», ha concluso il premier.
FASSINO
Il dibattito all’assemblea non ha riservato particolari sorprese tranne forse l’analisi in chiaroscuro del sindaco di Torino e presidente dell’Anci, Piero Fassino: «Per uscire dalla crisi - ha detto Fassino - servono misure giuste ma serve anche la convinzione di potercela fare e avere fiducia in se stessi. C'è da riscoprire la parola orgoglio, orgoglio per un grande Paese». Così Piero Fassino durante il suo intervento all'assemblea del Pd. «Per cambiare un Paese -ha detto ancora Fassino -non basta la determinazione di un governo e di un leader. Dobbiamo avviare anche un cambiamento di tipo culturale e per fare questo ci vuole un soggetto politico che sia consapevole di questo processo. Serve un partito capace di stare dentro la società. Io invece - conclude - vedo un partito che non è capace di stare al passo del governo nella sua continua tensione al cambiamento e questo è un nostro problema».
Da segnalare infine il caloroso applauso (in piedi) dell’assemblea ai passaggi del discorso del premier riferiti al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Renzi si è detto sicuro che il Pd «al momento giusto aiuterà ad eleggere il garante delle istituzioni dei prossimi anni».