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Data: 16/12/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Dichiarazione-choc del presidente e fondatore dell’associazione Libera «All’Aquila la mafia c’era ben prima del terremoto. La ricostruzione sia trasparente, con il coraggio della verità e dell’umiltà»

L’AQUILA Il cavallo di Troia della corruzione «è negli appalti privati, dove la normativa è carente. A farne le spese sono realtà come L’Aquila, dove un evento avverso è stato lasciato sulle spalle di pochi». Il sindaco Massimo Cialente è un fiume in piena. Dallo scranno della sala convegni della Corte dei Conti, sceglie di intervenire al convegno «Noi contro la corruzione» organizzato dall’Agenzia delle Entrate, entrando nel merito. Come si combatte la corruzione in una città-cantiere d’Italia e dove arriveranno, nei prossimi 10-15 anni, decine di miliardi? «Facendo le cose giuste, con chiarezza e trasparenza, con il coraggio dell’umiltà e della verità». È la risposta di don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, l’associazione fondata nel 1995 per combattere le mafie. «Anche se», ha detto con fermezza, «all’Aquila la mafia c’era ben prima del terremoto e le vicende che oggi sono emerse nell’inchiesta romana riguardano, guardacaso, anche personaggi che operano in questo territorio». Il riferimento è a uno dei consorzi che hanno tentato la scalata societaria alla marsicana Aciam. «È la riflessione, però», ha aggiunto il sacerdote, «che fa emergere le cose belle, importanti, positive che vengono fatte». Ci vuole, però, «il coraggio dell’umiltà e la forza della volontà, a partire dall’eliminazione della prescrizione, non basta l’innalzamento delle pene», ha aggiunto riferendosi alla volontà del governo di aumentare i tempi per la prescrizione per i reati legati alla corruzione. Oltre a don Ciotti, ospiti d’onore al convegno anche il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, il direttore nazionale dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi e quello regionale Federico Monaco. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, bloccato da un impegno a Palermo, è intervenuto con un videomessaggio: «Per combattere la corruzione è fondamentale spezzare il meccanismo di omertà che sta alla base», ha detto, sottolineando la necessità di ricorrere al whistleblower all’interno delle amministrazioni, cioè alla possibilità di denunciare gli illeciti mantenendo l’anonimato. A Roma, per Cialente, avvengono «dibattiti sterili», mentre «permane una pigrizia di fondo dei legislatori che non hanno voluto finora mettere mano alla normativa sulla ricostruzione privata». Che a tutt’oggi «è basata su un rapporto di tipo privatistico (ma con soldi pubblici) tra proprietario e soggetti coinvolti». Un intervento accorato, una richiesta di aiuto ma anche la denuncia di un sistema rimasto impantanato nel «peccato originale» delle norme messe a punto nell’immediato post-sisma, quando «non si è voluta elaborare una legge nazionale sulla ricostruzione che avrebbe permesso trasparenza e possibilità di punire i corrotti». Il riferimento di Cialente (che ha incassato il sostegno del prefetto Francesco Alecci) è alla legge su cui aveva cominciato a lavorare l’ex sottosegretario Giovanni Legnini prima che venisse eletto vicepresidente del Csm. Per il magistrato Greco, «tra le attività tipiche della mafia si sta notando uno spostamento da quella intimidatoria a quella corruttiva, che si sta verificando anche in Abruzzo».

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