ROMA La Legge di Stabilità si accinge all’ultimo giro di boa, quello dell’Aula della Camera che la “tramuterà” in legge dello Stato proprio a ridosso Di Natale. E questa volta senza voto di fiducia. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è ottimista: la manovra garantirà «meno tasse, più reddito, consumi, quindi più lavoro». Dunque basta con le polemiche perché anche nella fase finale i lavori si sono svolti come negli anni passati. «Casini ci sono stati», ammette il presidente del Consiglio assumendosene la responsabilità, ma la manovra garantirà la diminuzione della pressione fiscale. Il presidente del Consiglio ha poi confermato la convocazione del Cdm per la vigilia di Natale che si dovrebbe occupare anche del cosiddetto milleproroghe oltre al dossier Ilva e all’attuazione del Jobs Act («che renderà più conveniente il contratto a tempo indeterminato» ripete il Premier). Il presidente del Consiglio conferma poi che «nel 2015 cercheremo di mantenere tutti i nostri impegni Ue» ma «lavoreremo perché gli investimenti siano sbloccati dal patto di stabilità, anche levando dal computo i fondi europei». Dunque sulla legge di stabilità non si andrà a una nuova fiducia anche perché porre la questione avrebbe allungato i tempi (alla Camera per il voto di fiducia devono trascorrere 24 ore dalla richiesta del Governo). Ma molto dipende anche dall’atteggiamento che avranno le opposizioni decisamente innervosite soprattutto dall’andamento dei lavori in Senato. La giornata è comunque andata avanti senza intoppi in commissione Bilancio a Montecitorio che ha dato il via libera al testo (chiaramente senza modifiche che avrebbero comportato una quarta lettura in Senato a ridosso di Capodanno) esaminando uno ad uno gli emendamenti reduci dall’ammissibilità decretata dal presidente della Commissione Francesco Boccia. Ne sono stati votati 80 sui 130 iniziali. Comunque ora l’esame finale spetta all’Aula che, mentre fuori dal Parlamento impazza il Natale, chiuderà il testo. Ma forse non le polemiche. Gli incidenti di percorso in Senato hanno dato infatti buon gioco alle opposizioni e alimentato il dibattito che ogni anno accompagna la manovra su «assalto alla diligenza» e “marchette”. E su questo punto vanno registrati anche i malumori nello stesso Pd da parte della minoranza: lo stesso presidente della Bilancio rimarca infatti che «la parentesi-marchette è stata aperta e poi chiusa dal governo». Ma il testo è stato approvato nei tempi anche perché «da parte di quella che viene definita “minoranza Pd” non è mai mancata la massima lealtà al governo». Critico Pippo Civati che torna su «un testo che, si può dire, nemmeno si conosceva nella sua edizione finale». Dal governo il sottosegretario Graziano Delrio più in generale sottolinea come con la manovra, «questo Paese svolta in maniera definitiva dal punto di vista della pressione fiscale». E assicura: «Non ci saranno norme-mancia. Questa è la strada giusta». Più concreto il viceministro all’Economia, Enrico Morando: «In questo campo non esiste un mondo ideale: talora occorre concedere qualcosa alla dimensione locale, pur di raggiungere gli obiettivi di fondo».