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Pescara, 24/11/2024
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23/12/2014
Il Centro
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Erano gli squadristi della porta accanto. Ritrovo? Al market. La più conosciuta è Katia De Ritis, consigliera a Poggiofiorito
Il capo, l’ex carabiniere Stefano Manni, abita a Montesilvano |
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PESCARA C’è un ex operatore ecologico, Franco Montanaro, il 44enne di Roccamorice che nella sua casa di contrada Pagliare, dopo la morte della mamma, avrebbe ospitato di tanto in tanto le riunioni del gruppo di neofascisti. C’è un fruttivendolo, Franco La Valle di Chieti, 51 anni, che nelle varie riunioni dice«io sono per qualsiasi azione, l’importante è che facciamo l’azione», c’è Luigi Di Menno Di Bucchianico, lancianese residente a Villamagna che, parole sue, ha fatto «il galoppino per il vice di Biase, per Pace, per Nazario Pagano» e che ce l’ha letteralmente a morte con i politici, e c’è poi il vice segretario di Fascismo e libertà Katia De Ritis, lancianese di 57 anni entrata a maggio con la lista civica Partito socialista nazionale come consigliere comunale di opposizione a Poggiofiorito, nel Frentano, con 149 voti e che a detta del sindaco in consiglio «non dice mai una parola». È una galleria di personaggi apparentemente anonimi quella che emerge andando a spulciare per sommi capi la vita degli abruzzesi finiti in questa storia come arrestati o solo indagati come Marcello De Dominicis, 38 anni di Pianella, operaio alla Sevel in cassa integrazione, descritto da tutti in paese come un ragazzo molto timido ed educato. Ma a completare il quadro degli insospettabili c’è pure l’ex carabiniere Stefano Manni, ascolano di 44 anni trapiantato a Montesilvano: ex maresciallo dei carabinieri in servizio fino al 1998 prima al comando della compagnia di Chieti Scalo e poi alla Banca d’Italia di Chieti quando nella sede del corso, oggi chiusa, Manni si barricò prima di essere riformato definitivamente dall’Arma per motivi di salute è lui, secondo l’accusa «il capo indiscusso del gruppo». Eppure a Montesilvano, dove abitava da un paio d’anni con la compagna, pure lei arrestata Marina Pellati, Stefano Manni manteneva un profilo bassissimo. «Erano più le volte che non c’erano che quelle che c’erano», dice Roberta Cilli, la figlia del padrone di casa di Manni che sulla coppia ha da ridire solo per il fatto che non pagava l’affitto da maggio e che per questo l’aveva sfrattata. In effetti, a parte qualche visita sporadica dei presunti componenti dell’organizzazione, in quella casa da 50 metri quadrati di via La Marmora, Manni e la compagna, che ci abitavano con il figlio 19enne di lei e tre cani, non c’earano quasi mai. Le riunioni, quelle ad alto contenuto di odio xenofobo e razziale, le andavano a fare con gli altri che arrivavano da fuori nel parcheggio del supermercato Oasi al confine tra Pescara e Montesilvano, come ricostruito in più di un’occasione dai carabinieri del Ros che per più di due anni li hanno intercettati e pedinati. Disoccupato, promoter sporadico per i gestori di telefonia mobile, a detta dei Cilli, Manni aveva smesso di pagare l’affitto da quando era rimasto senza lavoro: «Proprio in questi giorni stavano traslocando alla volta Silvi», racconta Cilli che di Manni sottolinea che era «molto strano e parlava un po’ a vanvera, come quando sosteneva che voleva comprarsi una roulotte per non pagare l’affitto e mi chiedeva un po’ di terra per posizionarla, o quando mi diceva che era arrabbiato perché nonostante lo sfratto nessuno gli dava una casa popolare. Ma da qui a dire che è un terrorista...». A preoccupare la famiglia Cilli, che alle tre di ieri notte è stata svegliata dal portone mandato in frantumi e sei pattuglie dei carabinieri davanti casa, erano alcune frequentazioni di Manni. «Ultimamente sono venuti due napoletani su un’auto distrutta», riferisce Roberta Cilli, « mi hanno chiesto di Manni perché lui aveva staccato il citofono. Ma leggere di pistole e ordigni mi lascia perplessa, soprattutto dopo aver parlato con il figlio di lei». Secondo quanto riferito alla ragazza dal 19enne, si tratterebbe solo di un malinteso generato da una serie di post infelici pubblicati su facebook.
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