ROMA In Italia ci sono 1.454 società partecipate non attive e 1.896 che risultano formalmente in attività ma hanno zero dipendenti. Potrebbe partire da queste 3.350 entità fantasma il lavoro di disboscamento che la legge di Stabilità si propone di portare avanti, pur senza mettere in campo per ora strumenti particolarmente incisivi. Ma un’azione di risanamento ad ampio raggio non potrebbe non prendere in considerazione tutto l’universo delle società pubbliche descritto dall’Istat con le informazioni ricavate dal Registro delle unità economiche a partecipazione pubblica e relative all’anno 2012. In tutto le partecipate censite sono 11.024, numero superiore alle circa 8.000 a cui aveva fatto riferimento nei mesi scorsi il commissario alla revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli. La differenza si può spiegare almeno in parte proprio con la presenza di società non attive e altre di altre che lo stesso istituto di statistica non è in grado di rilevare se non in modo indiretto (sono 994) o che risultano non classificabili (altre 891).
Le partecipate attive sono quindi 7.685 ed assorbono la stragrande maggioranza dei 977.792 addetti totali. Quelle partecipate da almeno una amministrazione regionale o locale (escluse dunque le strutture in cui è presente solo lo Stato centrale) sono 5.160. Il settore con il maggior numero di imprese è quello relativo alla fornitura di acqua e al trattamento dei rifiuti; ma se si guarda al numero dei dipendenti prevale il settore delle attività finanziarie e assicurative. Dal punto di vista dell’assetto proprietario si tratta di realtà molto diverse, con una diversa intensità della presenza pubblica: sul totale delle società quelle possedute al 100 per cento sono il 25,6 per cento del totale, quelle con una quota pubblica inferiore al 20 il 27,1.
I NUMERI
Sul piano geografico, spicca il ruolo del Centro-Italia dove si trova la sede del 23,8 per cento delle aziende; gli addetti sono però oltre la metà del totale (53,4 per cento). L’area del Paese con il maggior numero di imprese è invece il Nord Ovest (dove si trova la Lombardia) che ospita solo il 21,1 per cento dei lavoratori).
La legge di Stabilità impone alle Regioni ed agli enti locali di presentare entro il prossimo 31 marzo un piano di razionalizzazione ispirato ad alcuni criteri: aggregazione, contenimento dei costi, eliminazione dei doppioni. In Senato ne è stato aggiunto un altro, meno generico, che fa riferimento ad una caratteristica già individuata da Cottarelli: si prescrive la soppressione delle società composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti. Condizione che certamente si verifica nel caso delle aziende con zero addetti. Nella manovra, a differenza di quanto ipotizzato, non sono invece state indicate sanzioni per gli amministratori che svicolano da queste direttive.