Il giorno dopo il via libera del governo ai primi due decreti attuativi del Jobs act, riparte il braccio di ferro nella maggioranza. Da una parte c’è l’amarezza di Ncd, dall’altra l’esultanza della sinistra Pd. Da un lato chi, da destra, avrebbe voluto «l’opting out», cioè la possibilità di escludere il reintegro, dall’altro chi, da sinistra, aveva reclamato più tutele. Uno scontro tutto «ideologico» che ha il sapore di un «gioco delle parti», lo ha definito Matteo Renzi, che in conferenza stampa ha spiegato: «Mi assumo la responsabilità delle scelte finali».
NIENTE «OPTING OUT»
Eccole, quindi, le «scelte finali»: i nuovi vontratti avranno tutele crescenti, arrivano le nuove regole per i licenziamenti, con l’indennizzo che per i nuovi contratti sostituirà nella gran parte dei casi il reintegro dell’articolo 18. Reintegro che però resterà a fronte di una “condanna” per licenziamento ingiustificato e non potrà essere superato dal datore di lavoro con un super-indennizzo. Gli indennizzi per i licenziamenti ingiustificati andranno da 4 a massimo 24 mensilità; l’aumento sarà di due mensilità per ogni anno di servizio. Nel decreto attuativo non c’è però l’opting out, la possibilità cioè per il datore di lavoro di “superare” il reintegro con un super-indennizzo. E nel testo non è stato inserito neanche lo scarso rendimento tra i licenziamenti economici.
SCONFITTA LA LINEA DI ALFANO E SACCONI
È «una rivoluzione copernicana», ha commentato il premier. È caduta nel vuoto quindi la minaccia di Maurizio Sacconi, che aveva tirato in ballo la vita stessa del governo. Renzi assicura anche che il testo dei decreti delegati «è aperto al contributo delle commissioni parlamentari» che dovranno dare i pareri. Un passaggio che consente a Ncd, spiegano fonti di governo, di rivendicare il passo avanti compiuto considerando non chiusa la partita. Ma per gli alfaniani si tratta di una sconfitta bruciante. Il premier tira dritto, definisce il Jobs act «un passo avanti strepitoso» e a chi lo critica la risposta è tranchant: «Dove eravate quando governavate? Buon gioco delle parti e buon Natale». Ed è così che la «scelta» di Renzi fa infatti esultare la sinistra Pd, che festeggia l’impronta «più di sinistra» che assume il decreto sulle tutele crescenti («Buon Natale Sacconi», twitta Roberto Speranza). Sacconi in un nota ribadisce la delusione: «Sembravano esservi le condizioni per una un atto coraggioso. Abbiamo invece una disciplina complicata, intraducibile in inglese, di incerta applicazione, limitata ai nuovi contratti. La montagna ha insomma partorito il topolino mentre rimangono presenti tutti i sintomi della depressione economica e sociale».
IL DAY AFTER DEL NUOVO CENTRODESTRA
Dubbioso anche Fabrizio Cicchitto: «Il Jobs Act, come approvato dal governo, è caratterizzato da due elementi: uno costituisce un salto di qualità assoluto per ciò che riguarda i licenziamenti collettivi e invece c’è un compromesso per ciò che riguarda i licenziamenti individuali. Ciò spiega gli elementi di consenso e anche alcune riserve avanzate dal Ncd che però rispetto al complesso del provvedimento non risulta sconfitto». Da Forza Italia Gasparri sparge sale sulla ferita: «Renzi irride ai suoi alleati-sgabello. Invece di prendere schiaffi dal Pd, Alfano farebbe bene a usare questi giorni di festa per meditare sulle vie da percorrere per ricomporre il centrodestra».
SINDACATI ALL’ATTACCO
«Altro che rivoluzione copernicana», il governo Renzi «ha cancellato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione», attacca la leader della Cgil, Susanna Camusso. «Sono norme ingiuste, sbagliate e punitive». Carmelo Barbagallo è meno netto: «Il Governo ha accolto la nostra reiterata richiesta di un intervento pubblico per l’Ilva: è un fatto decisamente positivo». Ma, aggiunge il segretario della Uil, «diverso è il nostro giudizio sul Jobs Act. Consideriamo infatti, spiega, «negativamente la monetizzazione dei licenziamenti collettivi, fatto che non aiuterà il mondo del lavoro».