ROMA Ogni riforma importante scatena discussioni e polemiche: nel caso del Jobs Act ed in particolare del decreto legislativo sui licenziamenti illegittimi abbondano sia le voci che ritengono il provvedimento troppo morbido, sia quelle che al contrario ne evidenziano la portata eccessiva. Ieri poi è esploso il caso dei dipendenti pubblici e della eventuale loro inclusione nel perimetro delle nuove regole: inclusione che è stata data per certa da Pietro Ichino, senatore di Scelta civica nonché insigne giuslavorista, e subito negata dal governo per bocca del ministro del Lavoro Poletti e della collega Marianna Madia, responsabile della Pubblica amministrazione.
LA CRITICA
L’argomentazione di Ichino si basa su un’indiscrezione e su un ragionamento giuridico. Secondo il senatore, alla vigilia dell’esame del testo sarebbe stato cancellato un comma che escludeva espressamente il pubblico impiego dall’applicazione delle nuove regole, che dunque ora non risulta vietata. D’altra parte, fa notare Ichino, la legge del 2001 che disciplina il pubblico impiego lo equipara al lavoro privato salvo che per quel che riguarda assunzioni (per le quali serve di regola il concorso) e promozioni. A suo avviso applicare le tutele crescenti al pubblico impiego avrebbe anche l’effetto di facilitare l’assorbimento dei precari.
Ma non la pensa così il governo. Il ministro del Lavoro Poletti (che Ichino sul proprio sito Internet accusa senza mezzi termini di voler sabotare la riforma) ha spiegato che i dipendenti pubblici erano esclusi fin dall’inizio e che delle regole che li riguardano si potrà eventualmente occupare il disegno di legge delega sulla pubblica amministrazione. Sulla stessa linea Marianna Madia: il Jobs Act riguarda solo il lavoro privato. Filippo Taddei, responsabile economico Pd, ha fatto notare che il senatore di Scelta Civica non fa parte né della presidenza del Consiglio né del ministero del Lavoro, sedi nelle quali è stato messo a punto il testo.
Ai ministri ha risposto un altro membro del governo, il senatore Enrico Zanetti, anche lui di Scelta Civica, che ha definito «sconcertante» la presa di posizione dei colleghi, aggiungendo che «certi distinguo non rappresentano giuste rassicurazioni per il pubblico impiego, bensì ingiuste discriminazioni per i dipendenti del settore privato».
SPACCATURA
Per l’applicazione delle nuove regole al pubblico impiego si sono schierati sia il senatore Maurizio Sacconi (Ncd) sia il presidente Udc ed ex ministro della Pubblica amministrazione Giampiero D’Alia. Il tema potrebbe essere ripreso nel corso dell’esame parlamentare del decreto, in vista della sua approvazione definitiva da parte del governo, se non altro in direzione di una maggiore chiarezza. Una parte del Pd chiede invece che siano riviste le norme sui licenziamenti collettivi, ritenute troppo punitive per i lavoratori: ma è estremamente improbabile che il presidente del Consiglio accetti passi indietro su questo aspetto.