CHIETI La bomba era finta, le accuse sono vere. L’inchiesta sull’attentato-scherzo a Raffaele Bonanni, ex segretario nazionale della Cisl, si è conclusa in un lampo. Il gip della procura distrettuale dell’Aquila, Romano Gargarella, ha già rinviato a giudizio Davide Nunziato, 32 anni di Francavilla al Mare e Donato Colasante, 21 anni di Guardiagrele, rispettivamente difesi dagli avvocati Giancarlo De Marco e Graziano Benedetto. Saranno processati a Chieti il 17 febbraio prossimo. Per i due, il pm aquilano Antonietta Picardi, ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato che bypassa l’udienza preliminare, mentre Valeria Di Stefano, 30enne moglie di Nunziato e terza imputata, patteggia due anni di reclusione. Le accuse sono rimaste tutte in piedi a cominciare dall’ordigno fatto in casa e destinato all’ex sindacalista che, seppure fosse inoffensivo, aveva comunque un potenziale intimidatorio per Bonanni. Nunziato e Colasante così sono imputati, in concorso tra di loro, di minacce con finalità di eversione dell’ordine democratico perché, il 21 marzo del 2014, «apponevano davanti al cancello d’ingresso dello stabile sito in via Alcione numero (...) di Francavilla al Mare una simulazione di ordigno, contenuto in una busta di cellophane, composto da un contenitore di plastica e bulloni in ferro avvolti da carta stagnola dal quale fuoriuscivano dei fili elettrici legati all’involucro con del nastro isolante». Così scrive l’accusa sottolineando che il finto ordigno «indusse i carabinieri a intervenire sul posto con l’ausilio degli artificieri». Fu Nunziato, si legge ancora sull’atto della procura, a telefonare al 112, fingendosi un comune cittadino, per avvisare che c’era «una bomba, un ordigno, dove abita Bonanni, il politico... Ho paura». Ma quella telefonata oggi gli costa una seconda imputazione, quella di procurato allarme a cui si aggiunge la detenzione di armi, in concorso con la moglie Valeria, sequestrate il 17 luglio scorso dagli uomini del vice questore Francesco Costantini, capo della mobile di Chieti, ovvero: una pistola S&W marca Beretta, un revolver Colt Cobra 38 special, un fucile calibro 12 sempre Beretta, 78 cartucce calibro 40 e blindate di marca Fiocchi e altre 12 cartucce calibro 12 marca Winchester. Ma fra le tre posizioni la più compromessa sembra essere quella di Colasante. Il giovane guardiese è imputato di altri reati, gravi seppure tutti ancora da dimostrare, che esulano dalla vicenda della falsa bomba. Nell’ordine è accusato di estorsione nei confronti della madre che lui avrebbe anche minacciato dicendole che avrebbe dato fuoco all’auto e alla casa se non gli avesse dato soldi per acquistare stupefacenti. Anche l’anziana nonna sarebbe diventata una delle sue vittime di maltrattamenti e danneggiamenti contro i mobili, tanto da spingerla ad allontanarsi da casa. Ma la contestazione più pesante riguarda il presunto tentativo di costringere una minorenne del paese a prostituirsi per lui in modo che gli potesse dare almeno 100 euro al giorno. Ma anche questo è ancora da dimostrare.