ROMA Licenziamento statali. Fino ad oggi è stato considerato quasi un ossimoro, una contraddizione in termini. Ma ieri, Matteo Renzi, ha gettato il sasso nello stagno. Il tema sarà affrontato nella riforma Madia sulla Pubblica amministrazione che in Senato attende il Commissione affari costituzionali che la legge elettorale liberi la pista e garantisca uno ”slot” per far partire il provvedimento sugli statali. Il testo, per ora, non regola il tema delle uscite dei pubblici dipendenti, ma piuttosto quello delle entrate, delle assunzioni. «Del resto», spiega Giorgio Pagliari, relatore in Senato della Riforma, «partire dai licenziamenti disciplinari sarebbe come cominciare dalla coda e non dalla testa, rischia di essere un tema fuorviante». L’articolo 13 della riforma, quello che affronta il tema del pubblico impiego, cambia i meccanismi di assunzione. Il concorso pubblico per l’ingresso nella Pubblica amministrazione sarà accentrato. Non saranno più i singoli ministeri o le altre articolazioni dello Stato ad organizzare autonomamente i concorsi, ma ci sarà un’unica selezione. Poi i vincitori saranno smistati per le varie amministrazioni. Chi ha già lavorato con la Pa con contratti flessibili, avrà un punteggio maggiore. Cosa succederà invece per i licenziamenti? La riforma Brunetta, come ha ricordato Michele Gentile della Cgil, già ha disciplinato il tema. Persino l’allontanamento del dipendente pubblico poco produttivo, il fannullone evocato ieri da Renzi, è già possibile. Chi per un biennio ottiene valutazioni insufficienti, può essere messo alla porta. Alla stregua di chi ruba, di chi molesta i colleghi, e degli assenteisti. Il problema è che tutte queste norme sono per ora rimaste solo sulla carta.
I NODI
Nessun dirigente pubblico rischia di allontanare un suo dipendente, perché i giudici potrebbero ritenere illegittimo il licenziamento e il dirigente potrebbe essere chiamato a risarcire il danno erariale causato. È questo il tema che il governo potrebbe decidere di affrontare nella legge delega per semplificare l’iter. L’altro aspetto delicato del lavoro pubblico, quello dei licenziamenti economici, in realtà, è già stato in qualche modo disciplinato. «Nel pubblico impiego», spiega Giuliano Cazzola, economista esperto di temi del lavoro, «il licenziamento individuale per motivi economici non è possibile. Quello collettivo», aggiunge, «è stato decisamente semplificato con le norme sulla mobilità del decreto Madia». Il primo decreto sulla Pubblica amministrazione ha infatti introdotto il principio che, entro i 50 chilometri, i lavoratori statali possono essere trasferiti liberamente all’interno di una stessa amministrazione o tra un’amministrazione e l’altra. Per attuare questa norma, manca solo l’emanazione delle tabelle di comparazione, quelle che devono equiparare inquadramenti e stipendi quando si viene trasferiti.
Il decreto sarebbe ormai pronto e potrebbe essere pubblicato a giorni. Chi viene messo in mobilità e non accetta il trasferimento, ha diritto per due anni all’80% dello stipendio, poi può essere licenziato. Lo stesso decreto Madia ha introdotto anche un’altra importante norma per gestire gli esuberi della Pubblica amministrazione: il demansionamento. Per evitare mobilità e licenziamento, i lavoratori statali potranno accettare di svolgere mansioni inferiori, anche se di un solo livello. Il primo banco di prova delle nuove norme riguarderà il personale delle Province, anche se in questo caso la legge di Stabilità ha introdotto ulteriori garanzie per fare in modo che al termine della mobilità nessun dipendente resti senza lavoro. L’altro interrogativo sono i tempi della riforma. Renzi ieri ha parlato di febbraio-marzo. Il disegno di legge Madia giace in Senato da mesi. Prima di riprendere il suo cammino, come detto, dovrà attendere il varo della riforma elettorale e l’elezione del capo dello Stato.