PESCARA Per troppi anni la sanità abruzzese è stata un «paese del Bengodi» per le cliniche private, dove «fino a una certa data le partite debitorie e creditorie in Abruzzo sono state definite incredibilmente con una autocertificazione milionaria della quale hanno beneficiato tutte le strutture private, chi più chi meno». Il “bengodi” citato dall’ex presidente della regione Gianni Chiodi è una delle tre gambe sulla quale poggiavano i disastrati conti della sanità regionale fino all’avvio del commissariamento nel 2007 e fino al primo bilancio in pareggio nel 2010. Le altre due gambe sono naturalmente la sanità pubblica, cresciuta per superfetazioni territoriali, e la politica, che sulla sanità ha costruito consenso e carriere. In termini economici si sta parlando di una torta complessiva di 2 miliardi e 3-400 milioni l’anno, pari al 75-80% del bilancio della Regione Abruzzo. Questa diagnosi è il fulcro della difesa-attacco scelta da Chiodi nel procedimento che lo vede inquisito dalla procura di Pescara assieme all’ex subcommissario Giovanna Baraldi, l'ex assessore regionale alla Sanità, Lanfranco Venturoni, e due tecnici dell'Agenas, l'agenzia nazionale per i servizi regionali. La Procura qualche giorno fa ha chiesto il processo per gli indagati. Le accuse per l’ex commissario sono di falso, violenza privata e abuso d'ufficio. L’inchiesta della procura Pescarese è partita dalla denuncia di alcuni imprenditori della sanità privata che si sono ritenuti ingiustamente danneggiati dai tetti di spesa stabiliti dalla regione per il 2010; obbligati alla firma dei contratti pena il non accreditamento delle strutture (da qui la minaccia che secondo una informativa dei Carabinieri sarebbe stata operata a vantaggio di un terzo individuato nello Stato); e danneggiati rispetto ad altre cliniche private, in particolare al gruppo Villa Pini. Nella sua difesa Chiodi punta da un lato a chiamarsi fuori da alcune tecnicalità legate per esempio ai tetti di spesa, firmati dal commissario ma definiti dal braccio tecnico (sub-commissario, Agenas e advisor), attraverso criteri complessi e «non neutri», ammette oggi l’ex commissario («la formazione dei tetti di spesa è una delle attività a più alto contenuto tecnico che ho incontrato in questi anni e di certo non era alla mia portata»). Dall’altra Chiodi, nel rigettare l’accusa di violenza privata e abuso di potere, descrive un sistema che, dopo anni di deregulation, finisce col ribellarsi alle regole imposte dal committente, cioè dal Sistema sanitario nazionale. La deregulation permetteva la certificazione dei costi e degli extrabudget a pie’ di lista e implicava una sensibile quota di inappropriatezza (ricoveri ed esami inutili); la regola imponeva (e impone) un contratto tra le parti sui tetti di budget indispensabile per ottenere l’accreditamento: senza la firma del contratto le strutture private non avrebbero avuto possibilità di fornire servizi al sistema sanitario pubblico. Ricordarlo agli imprenditori durante le trattative poteva costituire una minaccia o una violenza privata? Per Chiodi no: «A parte la normativa vigente che lo imponeva», spiega, «ho sempre ritenuto che fosse un assurdo per la pubblica amministrazione operare e pagare decine di milioni di euro a fornitori privati senza che alla base vi fosse quanto meno un contratto. Certo per i privati fornire prestazioni senza un contratto, senza tetto di spesa, senza regole condivise sui controlli e con una giurisprudenza amministrativa abruzzese molto favorevole ai privati era davvero un bengodi e lo sarebbe stato per tutti se a rimetterci non fosse stato il cittadino». «Per me», insiste Chiodi, «l'esistenza di un contratto è uno strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa nell'interesse sia del cittadino, perché costituisce una remora ad arbitrii, sia della intera comunità perché agevola le funzioni controllo ed è quindi espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.a. posti dalla Costituzione, nonché requisito ai fini della copertura della spesa. Pensavo di meritare una medaglia per aver fatto di tutto per ripristinare la legalità anche a rischio del consenso elettorale. Mai avrei immaginato che una dura trattativa con le strutture private potesse essermi contestato come violenza privata con abuso di poteri».