ROMA «Sto per lasciare le mie funzioni per raggiunti limiti di età, non posso più sottovalutare i segni dell’affaticamento». Così Giorgio Napolitano conferma davanti agli italiani le sue imminenti dimissioni per «motivi personali». Ovviamente il capo dello Stato non dice in che giorni preciso ufficializzerà le sue dimissioni inviando, come da prassi, comunicazione ai presidenti di Senato e Camera e al premier. Il 13 scade il semestre di presidenza italiano della Ue. E nella ristretta cerchia dei consiglieri si scommette sulla data del 14 per l’addio. A quel punto le funzioni di capo dello Stato saranno svolte da Pietro Grasso che con Laura Boldrini avrà quindici giorni di tempo per convocare a Roma i grandi elettori per la prima seduta delle Camere riunite per eleggere il nuovo presidente. Solo due volte nella storia repubblicana il nome del presidente è uscito dal primo scrutinio: è successo per Francesco Cossiga e per Carlo Azeglio Ciampi. Per tutti gli altri sono state necessarie più votazioni: dalle 4 di Einaudi alle 23, record assoluto, di Giovanni Leone. E ora? Difficile dire come finirà la partita per il Colle. Matteo Renzi finora ha tracciato solo il percorso e l’identikit del successore di Napolitano. Il premier punta su una personalità politica con la P maiuscola e spera di individuare un nome sul quale possa convergere «la più ampia maggioranza possibile». Nomi però Renzi non ne fa. Il segretario del Pd convocherà l’assemblea del suo partito per discutere con tutto il gruppo dirigente e con i parlamentari dem la scelta. Renzi dice di non temere il replay dei 101 franchi tiratori che impallinarono prima Franco Marini e poi Romano Prodi. Ugo Sposetti, ex tesoriere Ds, però è meno ottimista e ipotizza che questa volta i franchi tiratori saranno il doppio di quelli del 2013 che portarono alla fine alla rielezione di Napolitano. I maldipancia non saranno solo nel Pd dove diversi parlamentari potrebbero giocare la carta Quirinale in funzione anti-Renzi. Anche in Fi sarebbero un centinaio tra Camera e Senato i parlamentari vicini a Raffaele Fitto, decisi a far saltare il patto del Nazareno. In ogni caso Silvio Berlusconi e Matteo Renzi dovrebbero tornare a incontrarsi l’8 gennaio, il giorno dopo l’approvazione in Senato dell’Italicum. Il Cavaliere avrebbe fatto cadere la pregiudiziale per un candidato Pd, purchè si tratti di un nome di garanzia per tutti. Dunque tornano a salire le quotazioni di diversi democratici. E non sarebbe uscito dalla corsa neanche Romano Prodi. Con Emma Bonino, Pier Carlo Padoan e Giuliano Amato sono tra i pochi nomi ad avere prestigio internazionale. Basterà? Difficile dirlo. Anche perché i «pretendenti» alla poltrona sono molti. Per un’alternanza non scritta ma praticata questa volta potrebbe essere un cattolico a insediarsi al Colle. Circolano nomi come Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti. Nel Pd però c’è chi scommette su Dario Franceschini, con il quale il premier ha un debito di riconoscenza per la congiura contro Letta. E circolano anche i nome di Graziano Delrio e di Raffaele Cantone. In pista c’è anche Pier Ferdinando Casini. Sul suo nome dovrebbero convergere tutti i parlamentari centristi alla prima votazione.