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Data: 04/01/2015
Testata giornalistica: AbruzzoWeb
Abruzzo nella nuova regione adriatica. Lolli, ''le aree interne siano centrali''

L'AQUILA - L’Abruzzo e i suoi confini tracciati nel 1970 potrebbero avere i mesi contati. Al Parlamento prende quota, infatti, il disegno di legge degli onorevoli del Partito democratico Roberto Morassut e Raffaele Ranucci, che prevede la riduzione da 20 a 12 delle regioni italiane.

E secondo questa nuova ripartizione, l’Abruzzo entrerebbe a far parte della Macro Regione Adriatica, assieme alle province di Macerata, Ancona e Ascoli Piceno, che ora fanno parte delle Marche, la provincia di Rieti, ora nel Lazio, e la provincia di Isernia, in Molise.

La proposta è ancora allo stato embrionale, ma la rivoluzione annunciata già agita il mondo della politica. E in Abruzzo, stuzzicato da AbruzzoWeb, a entrare nel merito, dopo il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, che in Consiglio si è dichiarato fautore delle macroregioni sin da giovanissimo, è il vice presidente della Giunta, Giovanni Lolli, anche lui del Partito democratico.

Che invita soprattutto alla calma relativamente a uno degli aspetti collegati più delicati della riforma, ovvero la scelta dei capoluoghi delle future macroregioni.

Nell’ipotesi, per esempio, di quella adriatica quale sarà la città capoluogo? L’Aquila capoluogo d’Abruzzo, o Ancona capoluogo delle Marche, o un’altra città più baricentrica e centrale rispetto al nuovo assetto territoriale, come per esempio Pescara o Ascoli?

“Il processo che porterà alle macroregioni - spiega Lolli ad AbruzzoWeb - lo ritengo auspicabile e, anzi, ineluttabile, ma non sarà certo breve: occorrerà un approfondito dibattito, e ritengo che la questione dei capoluoghi sia a dir poco prematura, dipenderà da tanti fattori che non è possibile ora definire”.

Però, aggiunge l'aquilano Lolli, per la scelta del capoluogo sarà decisiva la scelta dell’asse geografico lungo cui costruire la macroregione.

“Anche per mantenere la centralità dell’attuale capoluogo abruzzese, L’Aquila, rispetto ad Ancona, occorre potenziare, rispetto all'asse costiero, anche e sopratutto l’asse appenninico, quello delle aree interne, che, secondo me, per il loro pregio ambientale rappresentano la nuova frontiera dello sviluppo. Esemplificando, è importante che si aggreghino province come quella dell’Aquila e quella di Rieti, o altre limitrofe”.

Punto forte della riforma è che, visto che per i soli Consigli regionali si spendono circa 1 miliardo 160 milioni di euro, dall’aggregazione potrebbero arrivare, soltanto da questo capitolo, risparmi per almeno 400 milioni di euro. Argomentazione che riscontra il favore di Lolli.

“La mia opinione è che le Regioni come le abbiamo conosciute abbiano avuto un impatto meno efficace di quello che avrebbero potuto avere - sostiene - La spesa è andata fuori controllo, sopratutto dove le Regioni non hanno delegato le funzioni a comuni e Province, mantendo come invece hanno fatto regioni virtuose come Toscana, Emilia Romagna e Veneto, la funzione legislativa. Ora bisogna passare a un'altra fase".

Secondo l'ex sottosegretario del governo Prodi, tuttavia, "vanno chiariti alcuni aspetti: è vero che, come si dice, la spesa sanitaria delegata alle Regioni è stata altissima, in molti casi eccessiva, ma abbiamo in Italia il miglior sistema sanitario d’Europa, con il miglior rapporto tra costi e benefici”.
IL PROGETTO DI RIFORMA

Allargando lo sguardo, ecco come verrebbe stravolta la carta geografica dell’Italia con la riforma allo studio.

Oltre la regione Adriatica, nascerebbe una Regione Alpina che dovrebbe accorpare Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. La Regione Triveneto nascerebbe dall’unione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. La Lombardia sarebbe la sola regione del Nord Italia a non essere toccata.

La Regione Appenninica comprenderebbe Toscana, Umbria e provincia di Viterbo.

L’Emilia Romagna ingloberebbe dalle Marche la provincia di Pesaro.

Il Lazio poi scomparirebbe diventando un unico grande Distretto di Roma Capitale e lasciando le province meridionali alla Regione Tirrenica che includerebbe anche la Campania. Nel Sud Italia, poi, la Puglia guadagnerebbe dalla Basilicata trasformandosi così nella Regione Levante.

La Calabria, con l’ingresso della provincia di Potenza, si trasformerebbe nella regione Ponente. Sicilia e Sardegna resterebbero immutate.

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