PARIGI Anche la Prefettura a un certo punto s’è arresa: «Non siamo in grado di dirvi quanti sono». Come s’è arreso il primo ministro Manuel Valls, laconico: «Manifestazione senza precedenti». Come si sono arrese le stesse tv francesi, rifugiandosi nell’iperbole: «Una marea umana». Ma a chi importa davvero? A chi può interessare ancora contarli dopo averli visti in faccia? Un milione, forse due, comunque tanti - e almeno il doppio nel resto della Francia -, quanti Parigi non ne aveva mai visti tutti insieme. Più che un corteo, più che due, tre cortei - come s’era deciso alla vigilia perché comunque si riuscisse ad arrivare a Nation - la “marcia repubblicana” è stata un’invasione, un moto di popolo nel segno delle matite di Charlie. Di «senza precendenti» davvero c’è stato che Place de la Répubblique - i blocchi di partenza della manifestazione - s’è presto riempita e non s’e più svuotata, neanche con il freddo della sera. Mai visto. Lo diranno gli anni a venire se di qui è passata la Storia. Di sicuro i francesi avrebbero voluto esserci tutti a firmare il registro delle presenze, a gridare «Nous sommes Charlie», a cantare la Marsigliese, a sventolare le bandiere bianche rosse e blu, a segnare un punto di non ritorno dopo i giorni che hanno passato. La strage di rue Nicolas Appert, la sparatoria di Montrouge, gli assedi e gli altri morti di Dammartin e Porte de Vincennes, tutto così veloce, tutto così doloroso e tragico, tutto così insopportabile. Ma la riposta è arrivata: da qui si può ripartire.
LA BUSSOLA
Lo si è capito di buon mattino, mentre i cinquemila agenti bonificavano le strade, mentre le camionette si acquartieravano nei punti cruciali, mentre il sole finalmente tornava in cielo, dopo giorni di pioggia insistente, odiosa. Parigi stava ritrovando la bussola, la Francia e tutto l’Occidente con lei. Arrivavano i primi bambinetti con i cartelli. E le signore dei quartiere chic, e certi vecchi severi ed eleganti che avrebbero potuto parlarti anche della liberazione del nazismo, e i ragazzi con gli stick sulle guance, e ancora, tutti gli altri: una marea davvero di tanti colori, i neri della banlieu che facevano a gara per farsi inquadrare dalle tv, gli ebrei con la kippah, le cinesine uscite da chissà quali ristoranti. E un giovane insegnante che agitava il suo personalissimo cartello: «Charlie ama il profeta». Come per dire che la satira non odia nessuno e non si può pagare una vignetta con la vita.
IL VIA
Tutti ad aspettare il via. Che è arrivato una ventina di minuti dopo le tre, quando davvero in quella piazza non ci stava più, quando s’erano intasate tutte le strade attorno, quando la polizia faceva fatica a far passare chi voleva passare. Si sono messi i grandi del mondo - una sessantina in tutto - in testa al corteo, e anche quello è stato uno spettacolo perché, se misure eccezionali di sicurezza ci sono state, sicuramente debbono averle presto dimenticate. Hollande che abbraccia la Merkel e si toglie presto il cappotto. Netanyahu e Abu Manzen sulla stessa fila, loro, i grandi nemici. E poi il nostro premier Renzi, la regina Rania di Giordania con il re Abdullah II, i primi ministri del Mali, del Gabon, del Niger, il leader spagnolo Rajoy, l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, il nostro ex primo ministro Mario Monti. Tutti lì, in primissina fila, con la gente che applaudiva dalle finestre -anche questo, mai visto- e loro che rispondevano ogni volta. Proprio Renzi aveva appena dichiarato: «Questa vicenda tragica, dolorosa, immane nella sua violenza, può avere un unico effetto collaterale positivo, cioè di riportare ciascuno di noi a riflettere su cosa può essere Europa». Sono andati avanti cosi per una mezz’ora buona, mentre il resto del corteo avanzava con molta fatica. Molto più di quanto il protocollo prevedesse in verità, sempre in barba alla sicurezza. Alla fine Hollande ha salutato tutti - un abbraccio commosso ha riservato a un certo punto ai supertisti della strage di Charlie, stringendoli a sé a uno a uno - e ha proseguito ancora per un pò, finalmente in sintonia con la Francia intera, finalmente il presidente che il Paese andava cercando.
I DUE TRONCONI
Erano due i tronconi: uno su Boulevard Voltaire - quello di Hollande e degli altri -, diretto fino a Nation, e l’altro per Avenue de la République, un giro più largo e comunque sempre fino a Nation. Tutto intorno il deserto: strade sbarrate, anche i vicoli, negozi chiusi, blindatura totale. Ma non c’è stato un lamento, non è sorto un problema. Ben altra era la posta in gioco. La testa del corteo ormai senza più le autorità -solo il premier francese Manuel Valls non ne ha voluto sapere, è rimasto proprio fino alla fine - ha raggiunto Nation poco minuti prima delle cinque e mezza. In testa c’erano loro, i superstiti della strage di Charlie, sfuggiti solo per caso alla furia assassina dei fratelli Kouachi, chi assente, chi arrivato in ritardo, chi soltanto in un’altra stanza. La folla che aspettava li ha accolti con un boato. Un altro boato s’è sentito quando nel corteo è stato notato Lassana. Sì, proprio lui, Lassana Bathily, il giovane commesso maliano dell’Hyper Kasher che quel maledetto pomeriggio, spinto da chissà quale forza, da chissa quale coraggio, spense le luci dei sotterranei, disattivò l’impianto frigorifero e riuscì a salvare almeno cinque degli ostaggi del macellaio Coulibaly.
LO STUDENTE
E’ stato un lungo, dolcissimo tramonto quello che ha accompagnato i parigini nel ritorno a casa, come se ne vedono solo nel Nord dell’Europa. È tornato a casa anche Francois, quindici anni, uno dei mille studenti della Cité Scolaire di Porte de Vincennes costretti a rimanere bloccati per ore nelle classi durante l’assedio. Ha voluto esserci proprio come Lassana e s’è fatto una sua idea precisa: «Ho visto facce contente».