L’argomento è scomodo, ma proprio per questo va preso di petto, senza ipocrisie. Ieri alla Sevel, la grande fabbrica del Ducato di Atessa, si è scioperato contro il troppo lavoro. Proprio così: mentre in tutt’Italia si ripetono manifestazioni per reclamarlo il lavoro, spesso davanti a fabbriche che hanno chiuso, nella grande cattedrale Fiat della Val di Sangro si è scioperato per dire basta agli aumenti di produttività imposti e anche a un certo modo di intendere le fermate collettive durante i turni. Non è un caso che la protesta si sia svolta di sabato (con due repliche già programmate): la Sevel è una delle aziende abruzzesi che procedono con il vento in poppa e, dopo avere prodotto ben 230 mila furgoni l’anno scorso, conta di toccare nuove vette nel 2015. Vette che è possibile raggiungere solo con lo straordinario nel fine settimana. Secondo i primi dati, non è che la protesta abbia raccolto grandi adesioni: si parla di 71 operai, neppure il 3% del totale. Tra i principali sindacati, solo la Fiom ha sposato le ragioni dello sciopero, accanto ad altre rappresentanze di base. Ma le domande di fondo restano: fino a che punto la necessità di difendere il posto, con le unghie e con i denti, può indurre ad accettare nuovi sacrifici? E, soprattutto, perché le aziende che “tirano” non assumono in modo proporzionale allo sviluppo del fatturato, preferendo dilatare all’infinito lo straordinario? Qui siamo all’osso del problema, al paradosso del lavoro che o ce n’è troppo o non ce n’è proprio: da quando è iniziata la crisi, e ormai fanno sei anni, nessuno si azzarda più a rischiare, temendo che le assunzioni di oggi diventino un problema nel doman di cui non v’è certezza. Non so se il Jobs Act, la nuova normativa sul lavoro, servirà a smussare questi spigoli. Ma so che le grandi aziende che continuano a esportare e a crescere sono una delle poche ancore di salvezza per una regione che dal 2008 a oggi ha perso 44 mila posti di lavoro. Urge una discussione seria, senza i soliti, infruttuosi per tutti, muri contro muri. Buona domenica.