Dopo aver guidato la delegazione della Cgil alla fiaccolata di giovedì in piazza Farnese, sotto l’ambasciata di Francia, Susanna Camusso sceglie di essere intervistata nella sede romana del Corriere dove ribadisce l’impegno del sindacato contro ogni forma di terrorismo: «Il nostro cuore è a Parigi, con chi scende in piazza a difesa della libertà di stampa e di satira. Penso che in questo momento sia importante dire che non ci facciamo travolgere dalla paura e che la vera risposta a questo orrore è l’integrazione. Un valore che nel mondo del lavoro, nel sindacato pratichiamo da tempo».
Come?
«La Cgil ha numerosi dirigenti di categoria e di territorio di fede mussulmana e l’integrazione si è affermata nelle aziende non solo a parole ma attraverso i tanti accordi che garantiscono agli immigrati congrui periodi di ferie per poter tornare nei Paesi di origine o per assicurare le pause quotidiane per la preghiera. È anche grazie a questa integrazione che non ci sono tensioni rispetto alla condanna di questi atti di terrorismo».
Segretario, partiamo dallo sciopero generale del 12 dicembre. Non è servito a fermare il Jobs act del governo Renzi. Una sconfitta?
«No. Le manifestazioni e lo sciopero hanno cambiato lo scenario politico, riproposto la centralità del lavoro e della qualità dell’occupazione. Sapevamo che Renzi avrebbe tirato dritto. Ma l’azione di contrasto non finisce qui. Si apre una stagione che vedrà la Cgil, insieme alla Uil e se possibile anche con la Cisl, impegnata su tutti i fronti. I decreti legislativi sono pieni di norme che producono diseguaglianze che si prestano ad essere messe in discussione dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea di giustizia
Come si fa a difendere l’articolo 18 sui licenziamenti davanti all’assenteismo di massa dei vigili a Roma?
«Se condizioni la difesa di un diritto al fatto che tutti si comportino bene non difendi più alcun diritto. Detto questo, io sto con quelli che la notte di San Silvestro sono andati a lavorare. La Cgil, fin dall’inizio, ha detto: ci sono le regole, si applichino. Non è vero che nel pubblico impiego non si può licenziare. Ciò non toglie che lo sciopero dei vigili contro il sindaco e contro il comandante del corpo sia sacrosanto».
Scioperano contro chi vuole punire coloro che hanno appunto infranto le regole.
«No. Scioperano perché c’è una vertenza sull’organizzazione del lavoro e sul salario aperta da tempo che il sindaco non vuole concludere».
Torniamo al Jobs act. Ma la Cgil non era favorevole al contratto a tutele crescenti?
«Sì, ma doveva essere un’altra cosa. Doveva servire a togliere di mezzo i tanti contratti precari e portare alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, con la previsione che a un certo punto sarebbe comunque scattata la tutela dell’articolo 18. Invece niente. Sa cosa c’è di crescente in questo contratto? Solo l’indennizzo a fronte della possibilità per le imprese di licenziare, demansionare, fare ciò che vogliono».
Non crede che aver semplificato i licenziamenti possa aiutare le aziende a superare la soglia dei 15 dipendenti e incentivare gli investimenti dall’estero?
«Non ho mai conosciuto un investitore che non viene in Italia perché c’è l’articolo 18. Quanto alle piccole imprese, si addensano tra i 7 e i 9 dipendenti, non sotto i 15».
Questo governo è guidato dal segretario del Pd. Un governo di sinistra che ha con la Cgil rapporti peggiori di quelli che aveva Berlusconi.
«Non esageriamo. È un governo di coalizione, che ha un grande problema: si ritiene autosufficiente. Perciò non ascolta i buoni consigli e segue i cattivi esempi, aumentando la diseguaglianza».
Fa bene Renzi a cercare un accordo con Berlusconi sul Quirinale?
«Sì, la posizione della Cgil è sempre stata quella che su questa carica, come sulle riforme istituzionali, si debba cercare il massimo consenso con tutti gli attori politici».
Ha un nome da suggerire?
«A parte la mia propensione per una donna, serve un presidente che sia un autentico interprete della Costituzione».
Nella partita entrerà il decreto fiscale che depenalizza la frode, con possibili benefici per lo stesso Berlusconi?
«Il fatto che Renzi abbia ammesso che la manina è sua e che allo stesso tempo abbia sospeso l’approvazione del decreto fino a dopo le elezioni per il Quirinale fa pensare che esso possa essere usato come un’arma di pressione. Ci saremmo aspettati invece la massima trasparenza. Tanto più che i contenuti sono pessimi, non per presunti accordi, ma perché prospettano un allentamento della lotta all’evasione».
Il governo vuole un Fisco più semplice.
«Ma allora semplifichi. Invece qui si abbassa la guardia, mettendo a rischio il gettito. Non è questa la politica fiscale che auspichiamo».
Che invece sarebbe?
«Fondata sulla lotta all’evasione e sulla progressività del prelievo. Non c’è un altro Paese dove l’83% dell’Irpef viene da dipendenti e pensionati».
Di qui anche la richiesta della patrimoniale?
«Il problema fondamentale nella nostra società è la crescita della diseguaglianza. Il Fisco serve appunto per redistribuire e creare equità».
Se verrà ammesso il referendum della Lega per abrogare la riforma Fornero voterete sì, conferma?
«Con Cisl e Uil abbiamo una piattaforma per cambiarla. È urgente, per rimediare a questa follia del prolungamento infinito dell’età di pensionamento. Sarebbe utile che il governo aprisse un confronto con noi per cambiare la legge. Se non lo farà neppure per evitare l’eventuale referendum, voteremo sì».
Si possono rinnovare i contratti con l’inflazione a zero?
«La Cgil non ha condiviso il modello contrattuale del 2009 e non rinuncia all’obiettivo della crescita dei salari, che si può ottenere anche attraverso la redistribuzione dei profitti».