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Pescara, 24/11/2024
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16/01/2015
Il Centro
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Rimborsopoli, i pm scagionano 15 politici. La procura fa marcia indietro e accoglie le difese degli ex consiglieri accusati di aver fatto la “cresta”. In tre verso il processo. Parla Riccardo Chiavaroli (Forza Italia) «I miei amici dicevano: siamo certi di te, ma...» |
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PESCARA La procura torna sui suoi passi e decide di chiedere l’archiviazione per 15 politici su 25 finiti nella maxi-inchiesta sui rimborsi facili, quella che il 23 gennaio scorso portò a una pioggia di avvisi di garanzia facendo sprofondare la Regione in un’altra inchiesta con i carabinieri in giro per tutto l’Abruzzo a notificare gli avvisi. C’è chi aveva esibito gli scontrini dei pasti finiti sotto accusa e chi aveva portato perfino la foto dell’albergo a tre stelle: le difese e le memorie degli indagate hanno fatto breccia nei pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli che hanno deciso di chiedere l’archiviazione per 15, il rinvio a giudizio per tre mentre altri sette erano stati già stralciati per competenza territoriale. La richiesta di archiviazione riguarda ex assessori e consiglieri: Lanfranco Venturoni, Carlo Costantini, Federica Carpineta, Giorgio De Matteis, Cesare D’Alessandro, Riccardo Chiavaroli, Franco Caramanico, Nicola Argirò, Emilio Nasuti, Alessandra Petri, Antonio Prospero, Lorenzo Sospiri, Giuseppe Tagliente, Nicoletta Verì e Luciano Terra. Sono questi i nomi di alcuni politici che erano stati indagati con l’accusa di aver fatto “creste” su pasti o alberghi. In alcuni casi le cifre contestate, legate ad esempio a missioni al Vinitaly di Verona, erano state irrisorie e i consiglieri durante la due giorni di sfilata in procura per essere interrogati, avevano portato le ricevute e gli scontrini accanto alle memorie dei rispettivi avvocati. Restano inalterate, invece, le posizioni di alcuni big che erano finiti nell’inchiesta come l’ex presidente della Regione Gianni Chiodi e l’ex presidente del consiglio regionale Nazario Pagano per cui già da tempo era stata decisa una nuova competenza territoriale. Sarà la procura di Roma, ad esempio, a giudicare la posizione di Chiodi a cui i due pm pescaresi avevano contestato la cifra più alta di circa 24 mila euro, mentre quella di Rimini esaminerà il caso di Pagano a cui era stata contestata una cifra tra i 10 e 15 mila euro. Accanto agli ex due vertici della Regione, altre cinque posizioni erano state già stralciate per essere trasmesse alle relative procure di competenza: Alfredo Castiglione (Roma), Paolo Gatti (Roma), Luigi De Fanis (Roma), Mauro Febbo (Verona) e Carlo Masci (Roma). Il fascicolo iniziale contava 25 politici accusati a vario titolo di truffa, peculato e falso. Ma di quell’inchiesta, a Pescara, sono rimasti adesso solo tre nomi per cui i pm hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio: l’ex assessore alla Sviluppo, Turismo e Ambiente Mauro Di Dalmazio, l’ex assessore alla Pianificazione, tutela e valorizzazione del territorio Lanfranco Giuliante e l’ex assessore ai Lavori pubblici Angelo Di Paolo. Per i tre, i pm Di Florio e Bellelli hanno lasciato inalterato l’impianto accusatorio che comprende, nel caso dell’ex assessore Di Dalmazio, una trentina di missioni contestate mentre l’utilizzo reputato improprio della carta di credito della Regione viene contestato anche a Giuliante e Di Paolo. Starà al giudice per le indagini preliminari fissare la data dell’inizio dell’udienza preliminare.
Parla Riccardo Chiavaroli (Forza Italia) «I miei amici dicevano: siamo certi di te, ma...»
PESCARA Consigliere Riccardo Chiavaroli, ha visto? Per lei il pm ha chiesto l’archiviazione. «Lo apprendo adesso, neanche il mio avvocato sa della cosa». A volte la stampa arriva in anticipo... «Questo è un brutto vizio ed è la cosa che mi ha più disturbato di tutta la vicenda. Appresi dai giornali di essere indagato. I miei genitori lo seppero dalla televisione.» E come reagirono? «Mah, mi conoscono. Però...» Però? «Penso a quello che dicevano i miei amici: “Noi ti conosciamo non abbiamo dubbi, su di te metteremmo la mano sul fuoco, però se hanno aperto un’inchiesta qualcosa in Regione dev’esserci”». E invece non c’era niente? «Lo dissi all'inizio: credo che l’indagine fosse infondata. Non è una critica ai pm, loro erano tenuti ad aprire l’indagine, ma non c’era sostanza sia per le cifre (a me si contestavano 20 euro), che per le modalità...» Però l’impatto mediatico è stato forte. «Beh, era già scoppiata la storia di De Fanis, c’era la camera di Chiodi. Questa inchiesta ha danneggiato noi singolarmente, ma ha gettato un inutile discredito su tutta la classe politica abruzzese, alimentando un clima di disfattismo che non meritavamo, e che ha penalizzato Chiodi e tutto lo schieramento di centrodestra». Qualche schizzo è andato anche dall’altra parte. «Io che ci tengo alla politica dico che l’indagine ha danneggiato tutta la buona politica». Non vi ha favorito il caso del Lazio o della Lombardia. «È chiaro che quello era un filone nazionale. Si diceva: tutte le Regioni hanno fatto spese pazze, possibile che l’Abruzzo no? Ma qui nessuno ha comprato mutande o vibratori con i soldi pubblici». C’è stato qualche problema nella rendicontazione? «No perché le nostre spese venivano verificate da revisori dei conti esterni e poi andavano alla Corte dei Conti. Le spese su cui si è basata l’indagine erano già revisionate e accettate senza obiezioni. Il meccanismo funziona». Oggi però tutte le Regioni sono moralmente screditate. «È vero e qui è in ballo la loro stessa esistenza. Io comunque da radicale sono sempre stato contrario a qualsiasi forma di finanziamento pubblico. Anche le Regioni non devono dare soldi ma servizi. Ricordo che ebbi una polemica fortissima con Maurizio Acerbo per gli iPad. Io sostenevo che la Regione non doveva darmi i soldi ma l’iPad perché ci lavoro. E così deve essere: computer, sale gratuite, servizi. Mai soldi».
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