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Pescara, 24/11/2024
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Data: 20/01/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Essere dei buoni cattolici non è fare figli come conigli». Il Papa apre alla paternità responsabile: «Ma la famiglia ideale deve avere tre bimbi. Ai corrotti darei un calcio dove non batte mai il sole. Una piaga anche per la Chiesa»

Da bordo dell'aereo papale. La contraccezione secondo Bergoglio. Per gli sposi cattolici si aprono spiragli. «Alcuni credono che per essere buoni cattolici si debba fare come i conigli. Occorre, invece, una maternità e una paternità responsabili. Per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali; per questo ci sono i pastori. Conosco tante e tante vie di uscita che hanno aiutato a risolvere problemi concreti».
Francesco sul volo di ritorno riprende in mano l'Humanae Vitae, l'enciclica (contestatissima) di Paolo VI che chiuse la porta ai contraccettivi. Naturalmente la Chiesa non muta posizione, tuttavia all'interno del matrimonio, per una coppia è anche possibile farvi ricorso. Si dovrebbe valutare caso per caso. Mentre l'aereo sorvola la Cina, il Papa risponde di getto alle domande. Riaffiora subito il caso di Charlie Hebdo. Ripete che è comprensibile aspettarsi una reazione dopo tante provocazioni, anche se la violenza è un male. Si lamenta poi della corruzione. Ruba risorse ai poveri e «anche nella Chiesa è una piaga». Si lascia anche andare a metafore pittoresche: «Ai corrotti darei un calcio dove non batte mai il sole». Si vede dalla faccia che è contento. Il viaggio è stato un successo, 7 milioni di persone davanti alle quali, confessa di essersi sentito «annichilito. Mi mancava la voce».
Sulla contraccezione la Chiesa muterà posizione?
«I demografi affermano che il numero minimo per mantenere la popolazione in crescita sia di tre figli a famiglia. Se si scende accade come in Italia dove nel 2024 non ci saranno più i soldi per le pensioni. La parola chiave, per rispondere a questa domanda, si chiama paternità responsabile. Cosa significa concretamente? Ogni persona in dialogo col suo pastore deve cercare una soluzione idonea. Un giorno venne da me una signora che era incinta, aveva già 7 figli avuti tutti con un parto cesareo. Le chiesi se voleva lasciare orfani gli altri figli. Era chiaro che stava rischiando. Era irresponsabile. Certo per la gente più povera un figlio è un tesoro e Dio sa come fornire aiuto anche se alcuni non sono stati prudenti. Paolo VI parlava di apertura alla vita e al matrimonio, il suo rifiuto non era dettato tanto da situazioni particolari, ma da una analisi generale. Aveva intuito l'avanzata del neo maltusianesimo. Cosa che poi in Italia si sarebbe verificata con l'attuale denatalità. Un neo maltusianesimo che portava avanti la pianificazione delle nascite, una politica di controllo demografico. Il che non significa che il cristiano debba fare figli in serie. Paolo VI non è stato antiquato ma un profeta».
Cosa intendeva quando a Manila ha denunciato la colonizzazione ideologica in materia di pianificazione delle nascite?
«Lo faccio un esempio. Nel 1995, in Argentina, un ministro chiese un forte prestito internazionale per costruire scuole in zone povere. Il prestito venne concesso a condizione che nelle scuole venisse introdotto un libro in cui si parlava della teoria del gender. Questa è colonizzazione ideologica. Durante il sinodo i vescovi africani si sono proprio lamentati proprio di questo: vi sono agenzie internazionali che per far cambiare la mentalità ad un popolo offrono aiuti sfruttando le necessità. La colonizzazione ideologica è pericolosa. Pensiamo a quello che è accaduto nel secolo scorso, con la gioventù hitleriana e i balilla. Hanno colonizzato un popolo, ma quanta sofferenza!».
Dopo l'attentato a Parigi lei ha pronunciato la famosa frase del pugno. Ci spiega meglio quello che voleva dire?
«Una reazione violenta per una offesa o una provocazione non si deve fare. E' una cosa cattiva. Il Vangelo ci insegna che dobbiamo porgere l'altra guancia. Fin qui la teoria, e siamo tutti d'accordo, ma siccome siamo umani per evitare reazioni dovremmo cercare di fermarci prima, altrimenti rischiamo di provocare gli altri. Insomma esiste una virtù, la prudenza, che dovremmo praticare per regolare i nostri rapporti. La libertà di espressione dovrebbe essere accompagnata dalla prudenza».
Lei ha lanciato un appello ai leader islamici contro il terrorismo: è stato accolto?
«Ho ripetuto l'appello anche prima di partire. Alcuni hanno fatto qualcosa. Credo che si debba dare loro un po' di tempo perché la situazione non è facie. Io nutro speranza. C'è tanta gente buona tra loro».
Lei ha insistito molto sulla corruzione in questi giorni...
«E' un fenomeno che può accadere in qualsiasi istituzione. La corruzione equivale a togliere risorse al popolo. I corrotti rubano alla gente e a rimetterci sono sempre i poveri. La corruzione uccide. E' un problema mondiale. Una volta in Argentina, credo fosse il 2001, chiesi ad un uomo politico di rivelarmi quanto di ciò che veniva stanziato arrivasse effettivamente sul territorio. A destinazione arrivava solo il 35 per cento delle risorse. La corruzione, purtroppo, riguarda anche le strutture ecclesiali. Vi sono casi. Mi viene in mente che nel 1994, ero appena stato nominato vescovo, vennero da me due funzionari ministeriali per propormi 400 mila pesos se avessi depositato a mio nome una certa somma; loro in cambio mi avrebbero dato il denaro. A quel tempo il cambio con il dollaro era uno a uno. Era una offerta enorme. Mentre li ascoltavo pensai: o li insulto subito e gli assesto un calcio laddove non arriva mai il sole, oppure faccio lo scemo, il finto tonto. Optai per la seconda ipotesi, spiegando che in vicariato non avevamo nessun conto. Così se ne andarono. Successivamente mi è venuto da pensare che se quei due funzionari erano venuti a bussare da me, evidentemente lo avevano già fatto anche prima. Ma è un cattivo pensiero. Peccatori sì, corrotti mai. Dobbiamo chiedere perdono per quei cattolici che scandalizzano la gente con la corruzione. E' una piaga nella Chiesa. Ma ci sono anche tanti santi».
Quale è stato per lei il momento più forte del viaggio?
«Avere davanti 7 milioni di persone che pregavano. Durante la messa mi sono sentito come annichilito, non mi veniva la voce. Un altro momento forte è quando mi sono trovato di fronte al pianto di quella bambina. Ci ha aiutato a capire. E' stata l'unica a fare la domanda: perché Dio permette che i bambini soffrano? Difficile rispondere: ci ha provato anche il grande Dostojevski e non c'è riuscito. La bambina ci ha provato con il pianto. Penso che le donne siano importanti, e debbano essere tenute in considerazione nella Chiesa, non solo per il ruolo in un dicastero o in una struttura. Ma perché guardano il mondo da una diversa angolatura, possiedono una ricchezza differente».
Quando andrà in Africa?
«Il piano è di andare nella Repubblica Centroafricana e in Uganda, penso per la fine dell'anno. Un viaggio che arriva un po' in ritardo per via dell'ebola anche se in questi due Paesi non vi è questo problema».
Sarà lei a beatificare Romero?
«Le beatificazioni non vengono fatte dal Papa. (ride) Immagino che per questo caso si aprirà una guerra tra il cardinale Amato e monsignor Paglia».
È prevista, quando a settembre andrà negli Usa, anche una tappa alla frontiera con il Messico?
«Andrò a New York, a Washington e a Philadelphia ma non vi saranno tappe messicane. Entrare negli Usa dalla frontiera del Messico sarebbe una cosa bella ma occorrerebbe più tempo Quest'anno sono previste visite però in Ecuador, Bolivia e Paraguay. L'anno prossimo vorrei fare il Cile, l'Argentina, l'Uruguay e forse il Perù. Chissà».
Che cosa porterà nel cuore delle Filippine?
«I bambini. Mi commuovevo quando passavo per le strade, e li vedevo stretti ai loro padri, i quali sembravano dire, questo è il mio tesoro, il mio futuro, l'amore per il quale vale la pena soffrire, lavorare. Questo popolo mi ha colpito per l'entusiasmo. Hanno gioia, allegria, capacità di fare festa. A Tacloban, sotto l'acqua, non hanno mai perso il sorriso. Eppure dietro quel sorriso c'è la vita normale, con i suoi dolori, i suoi problemi. C'è una parola che da noi è stata troppo usurata, forse interpretata male: rassegnazione. I filippini sono un popolo che sa soffrire, ma che è capace di rialzarsi. Ne ho avuto percezione nel colloquio che ho avuto col padre della ragazza morta a Tacloban. Cercava parole per accettare».

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