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Data: 21/01/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Bocciato il referendum sulle pensioni al sicuro 20 miliardi l’anno, ira leghista

ROMA La riforma delle pensioni del 2011 non si può cancellare per referendum. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito su cui aveva raccolto le firme la Lega Nord, che avrebbe voluto abrogare l’intero articolo 24 del decreto salva-Italia voluto dall’allora governo Monti. Se la Consulta avesse dato un parere diverso sarebbe stato rimesso in discussione l’assetto del sistema previdenziale italiano così come era stato disegnato da quella riforma: sarebbero tornati in ballo il sistema di calcolo contributivo (pro rata) per tutti i lavoratori, la sostanziale cancellazione della pensione di anzianità e la stretta sui requisiti di vecchiaia che porterà l’asticella per l’uscita a 67 anni nel 2019, per tutti i lavoratori e le lavoratrici. Lo Stato italiano avrebbe rischiato di dover rinunciare a risparmi di spesa per 20 miliardi l’anno a regime, senza contare il fatto che la riforma è stata presentata nelle varie sedi internazionali come garanzia della sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche italiane.
IL PARLAMENTO
Ora tutto questo non avverrà: è invece probabile che governo e Parlamento rimettano mano alla legge senza intaccare la sua architettura fondamentale, per introdurre nel sistema elementi di flessibilità: ad esempio prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo in cambio però di un trattamento pensionistico leggermente ridotto. Il vincolo è naturalmente finanziario: le modifiche dovrebbero garantire gli stessi risparmi di spesa nel medio periodo, ma possibilmente anche evitare picchi di uscite nella fase iniziale. Invece sembra ormai sostanzialmente archiviata la questione probabilmente più delicata sollevata dalla legge Fornero, ossia il destino dei cosiddetti esodati (in realtà lavoratori che a vario titolo avevano fatto affidamento sulle vecchie regole restando poi senza disoccupati e senza pensione): in questi tre anni sono stati approvati sei diversi provvedimenti di salvaguardia per un costo di svariati miliardi.
Le motivazione dei giudici costituzionali si conosceranno solo nelle prossime settimane. Si può però ipotizzare che abbia pesato anche il vincolo presente nell’articolo 75 della Costituzione, il quale vieta di sottoporre a referendum leggi tributarie o di bilancio. Una riforma del sistema previdenziale di così grande impatto finanziario, per quanto non inserita formalmente in una legge di Stabilità o in un suo collegato, è stata evidentemente considerata come provvedimento di bilancio.
LE REAZIONI
La decisione però ha provocato reazioni violente da parte dei promotori. «È una vergogna l’Italia fa schifo, non finisce qui» ha tuonato in modo vagamente minaccioso il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, aggiungendo un grilliano “Vaffa...”. Più o meno dello stesso tenore i commenti di altri esponenti del Carroccio, che ieri si è reso anche protagonista di una protesta in Senato: sono stati innalzati cartelli con la scritta “Lo Stato contro il popolo”.
Critiche sono arrivate anche dal mondo sindacale. Il segretario confederale della Uil Foccillo parla di «approccio criminalizzante nei confronti dei lavoratori» mentre la Cgil chiede al Parlamento di intervenire per «cambiare radicalmente la legge Fornero. E proprio Elsa Fornero, che pure valuta positivamente il pronunciamento della Consulta, ha spiegato di ritenere giusto un qualche intervento correttivo delle Camere. Decisamente a favore della riforma Benedetto Della Vedova, senatore di Scelta Civica e sottosegretario agli Esteri, per il quale la riforma ha il solo difetto di essere arrivata «troppo tardi».

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