Le ragioni di urgenza e di indifferibilità di un incontro istituzionale possono giustificare la violazione della legge? E’ questa, in sintesi, la domanda al centro della storia della multa affibbiata a Luciano D’Alfonso per eccesso di velocità mentre, il primo agosto scorso, di prima mattina, l’auto blu su cui viaggiava sfrecciava sull’austrostrada verso Roma per un incontro con il sottosegretario allo Sviluppo per discutere del gasdotto Snam. Quella fretta è costata al governatore abruzzese (ma sarebbe più giusto dire alla Regione) una contravvenzione di 1.405,36 euro per violazione dell’articolo del codice della strada sui limiti di velocità. D’Alfonso ha fatto ricorso al prefetto invocando a giustificazione della fretta, per l’appunto, l’urgenza e l’indifferibilità di quel faccia a faccia istituzionale, ma per il prefetto dell’Aquila quelle ragioni non giustificano la violazione della legge. La storia non è finita lì. Infatti, una settimana fa, la giunta regionale ha affidato a due legali dell’ente il compito di presentare un altro ricorso, questa volta, al giudice di pace. Tutto regolare, tutto consentito dalla procedura, naturalmente. La questione, però, non sta qui. La questione, come spesso accade per chi riveste un ruolo istituzionale, non riguarda tanto la legittimità del comportamento quanto la sua opportunità. Nessuno pretende ormai, nell’Italia di oggi, la virtù in chi amministra la cosa pubblica. Da anni, ci si accontenta di molto meno. Quel che invece è giusto chiedere a chi indossa la livrea del public servant è qualcosa di infinitamente meno impegnativo. In altre parole, la fretta con cui si procede verso un obiettivo urgente e indifferibile può essere ridotta (e con essa la solita interminabile costosa teoria di ricorsi e contro ricorsi) alzandosi un po’ prima, la mattina. Non l’eccellenza etica, dunque, è lecito pretendere, ma il semplice buon senso. Quello dei nostri padri e dei nostri nonni.