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Data: 23/01/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Poletti: «Età flessibile per la pensione» Il ministro: la riforma Fornero va cambiata o seri problemi sociali

ROMA Dopo il Jobs act arriverà di nuovo il turno delle pensioni. Appena il governo avrà completato l’emanazione dei decreti attuativi della riforma del lavoro, punterà i fari sul sistema previdenziale. In particolare sulla flessibilità dei tempi di uscita. «È necessario» ha detto ieri il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, altrimenti si rischia «un problema sociale». Tempo un paio di mesi, quindi, e la cosiddetta manutenzione della riforma Fornero sarà avviata. L’annuncio è stato accolto con soddisfazione da parte dei sindacati e delle forze politiche. Anche se non manca un certo scetticismo. Non è la prima volta, infatti, che il governo si mostra consapevole dei limiti della riforma Fornero e della necessità di intervenire. Aveva annunciato provvedimenti entro settembre 2014, poi con la legge di Stabilità, adesso a Jobs act completato. Per questo i sindacati ora premono e chiedono di avviare quanto prima - «subito» dice Annamaria Furlan, segretario generale Cisl - un tavolo con le parti sociali. «Bisogna sbrigarsi» concorda Carmelo Barbagallo, leader Uil. E che sia «un confronto serio» - ammonisce la numero uno Cgil, Susanna Camusso, «non dei tweet».
I CORRETTIVI

Le questioni da correggere sono tante. C’è la “ quota ’96“ nella scuola con 4.000 insegnanti bloccati per una svista della legge Fornero. Nonostante ben sei provvedimenti di salvaguardia, non è chiusa la vicenda esodati. In standby anche la cosiddetta opzione donna. Poletti ieri, comunque, non ha fatto riferimento a specifiche categorie di aspiranti pensionati.
Ma ha parlato più genericamente di coloro che vicini, ma non abbastanza, ai requisiti per andare in pensione, hanno perso il lavoro o rischiano di perderlo e «non hanno la copertura di ammortizzatori sociali sufficiente fino a maturare la pensione». Una situazione comune a tanti, in questi anni di crisi. «Credo - ha detto Poletti - che uno strumento flessibile che aiuti queste persone a raggiungere i requisiti bisognerà produrlo, perché diversamente avremo un problema sociale». Nessun dettaglio sul “come” intende intervenire, Poletti si è limitato a parlare di «molte ipotesi allo studio».
La più accreditata - e l’unica sulla quale l’Inps è stato incaricato di fare delle simulazioni - è quella del “prestito previdenziale”: il lavoratore può chiedere un anticipo dell’assegno pensionistico fino ad un certo limite (equiparato alla Naspi) da restituire successivamente a rate. L’età minima per la richiesta è 62 anni. Il rimborso dovrebbe essere senza interessi e si ragiona su una compartecipazione della quota a carico dello Stato ed eventualmente del datore di lavoro. Una versione più ridotta del prestito sarebbe quella del “ponte”, consentita solo a coloro a cui mancano un paio di anni ai requisiti pieni. Ieri il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta ha indicato tra «le soluzioni» quella che lascia il lavoratore libero di scegliere, tra i 62 e i 70 anni, il momento in cui andare in pensione, con un assegno «rapportato a un riequilibrio del calcolo previdenziale». Il taglio, secondo la proposta depositata in Parlamento proprio a firma Baretta-Damiano, varierebbe tra il 2 e l’8% per chi sceglie di anticipare i tempi (per chi li posticipa è previsto un aumento dell’assegno pensionistico). Tra le ipotesi ancora in piedi anche quota 100 (mix contributi-età anagrafica) e la staffetta generazionale, con il lavoratore anziano che percepisce mezza pensione e mezzo stipendio, lavora metà tempo e il resto lo fa un giovane apprendista.
Non è escluso che vengano adottate più soluzioni e il lavoratore sceglie quelle che è più conveniente per la sua situazione.

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