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Data: 23/01/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pd ad alta tensione su Colle e Italicum. Fassina accusa Renzi «Lui sabotò Prodi». Attacco dell’ex viceministro, Serracchiani: è incommentabile. Ma furono tanti i registi e i cecchini di quel voto che affossò il Professore

ROMA In un clima già molto teso per la spaccatura tra i senatori dem sull’Italicum, Stefano Fassina ha pensato bene di riaccendere la miccia di una questione sempre pronta ad esplodere all’interno del Pd: la paternità della congiura dei 101 che nel 2013 silurò la candidatura di Prodi al Quirinale. «Non è un segreto - ha affermato l’ex viceministro - che Matteo Renzi abbia guidato i 101 che bocciarono Romano Prodi. A differenza di quelli che oggi - ha aggiunto Fassina in vista del voto per il Colle - chiedono disciplina e due anni fa hanno capeggiato i 101, noi siamo persone serie. Nessuno deve temere da noi franchi tiratori». Nonostante la conclusiva promessa lealista, la dichiarazione di Fassina scatenava un’accesa lite nel partito, anche perché l’ex viceministro non aveva rinunciato a difendere il no della minoranza dem all’emendamento chiave dell’Italicum, che ieri ha iniziato lo sprint verso il traguardo del sì conclusivo del Senato in calendario per martedì.
«Accuse che non si possono nemmeno commentare», è la secca reazione della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani, seguita a ruota dal suo omologo al maschile, Lorenzo Guerini: «Una sciocchezza incredibile». Su Twitter fa ricorso a un vecchio adagio per ritorcere l’accusa l’europarlamentare Isabella De Monte: «La prima gallina che canta ha fatto l’uovo». E più ponderatamente replica anche la fedelissima del professore bolognese, Sandra Zampa: «Per il boicottaggio di Prodi non c’è stato un solo capo, erano diversi. Tutte le componenti hanno partecipato, altrimenti non si arrivava a 101. All’epoca Renzi ne aveva solo una cinquantina e non aveva incarichi nel partito». A cercare di prendere le distanze dal fuoco della polemica è Pier Luigi Bersani affermando che «la situazione oggi è molto meglio del 2013. Non la vedo difficile. Ci sono altri protagonisti, quella roba lì dei 101 franchi tiratori - osserva l’ex segretario - non la facciamo più. Per me l’importante è la lealtà, preferisco subire la slealtà che praticarla. Lasciamo perdere le scorie dell’Italicum: il Quirinale è un’altra partita».
SCORIE
Ma le ”scorie dell’Italicum“ sono sembrate, invece, riapparire al Senato dove, sia pur nel quadro di una sostanziale accelerazione verso l’approvazione finale della legge, lo scontro con la minoranza dem si è riacceso quando la sinistra pd ha annunciato che non avrebbe votato il maxi-emendamento a firma Anna Finocchiaro, che recepisce gli accordi conclusivi sull’Italicum. Legge che Walter Tocci - pur esprimendo la speranza «che cada presto il velo di incomprensione tra noi senatori del Pd» - ha definito segnata da «un emendamento illegittimo (quello Esposito, ndr) che apre una nuova fase costituzionale, di premierato assoluto». Altre tensioni nell’aula di palazzo Madama quando la senatrice dem Lucrezia Ricchiuti, ha accusato il Pd di «essere alla frutta» nel vedersi respingere un emendamento che introduceva le primarie per legge nella scelta dei candidati, principio che invece veniva poi accolto, ma in un semplice ordine del giorno indirizzato al governo. A difendere l’Italicum, la ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, che dopo aver twittato «la legge è seria, lo scopriranno quando la leggeranno», su Facebook proclamava: «Dopo anni di rinvii siamo a un passo dal risultato. Tutto il resto è polemica. Non ci fermiamo».
Era poi la conferenza dei capigruppo a respingere le richieste delle opposizioni di rinviare il voto finale sull’Italicum a dopo l’elezione per il Colle. Cosa che invece si verificherà alla Camera sulla riforma del bicameralismo paritario, a causa anche della pervicace linea di interdizione della sinistra dem, della quale ieri in 35 - da Bersani a Cuperlo a Rosy Bindi - non hanno partecipato al voto sul fondamentale articolo 2 della riforma che abolisce l’attuale Senato. E’ stata quindi la conferenza dei capigruppo a decidere di adottare la proposta Pisicchio di esaurire entro mercoledì l’esame di tutti gli emendamenti del ddl costituzionale e di rinviare il voto finale a scelta avvenuta del successore di Napolitano.


Ma furono tanti i registi e i cecchini di quel voto che affossò il Professore

ROMA Quel cinema romano a due passi da Montecitorio che vide consumarsi le candidature pd regolarmente poi cecchinate, è chiuso da tempo, sbarrato, in ristrutturazione. E sta al numero civico 101. Quando si dice omen nomen, il presagio.
Fu lì che i parlamentari del Pd si riunirono una prima volta per acclamare Franco Marini prescelto al Colle, salvo poi bocciarlo nell’urna la mattina dopo; e una seconda volta, per acclamare Romano Prodi nuovo Mosé per il Colle, cecchinato in maniera ancora più plateale dagli stessi che si erano spellati le mani. Matteo Renzi regista dell’operazione 101? Così sostiene Stefano Fassina, dando voce e spiegazione di quel che ha detto Pierluigi Bersani qualche giorno fa, «i 101 è stato un complotto contro di me, per farmi cadere da segretario».
I CALCOLI
L’equazione viene facile: chi aveva interesse a picconare la leadership di Bersani? Semplice, il giovane venuto da Firenze, il sindaco battuto alle primarie che Vedeva piuttosto l’occasione per la rivincita e la conquista del Nazareno. Stanno così le cose?
Dalle testimonianze, dalle ricostruzioni, dichiarazioni, mezze ammissioni e mezze conferme, salta fuori che l’operazione 101 annovera ben altri registi, prima di arrivare a Renzi bisogna fare un percorso più articolato. Il futuro leader del Pd poteva contare allora su una cinquantina di parlamentari, disse no apertamente a Marini optando per Chiamparino, mentre su Prodi, a quel che si è potuto ricostruire, a quel tempo ragionava così: se viene eletto, farà il king maker a mio favore, e comunque non darà sicuramente l’incarico a Bersani. Un atteggiamento che probabilmente ha portato una decina dei suoi a non votare Prodi, ma a una aperta congiura in pochi lo pensano, a parte Fassina.
La scena torna in quel cinema al 101: caduto Marini, Bersani cambia cavallo e punta su Prodi. «Mi spiegate che cosa è successo a Pierluigi?», chiedeva Marini ogni volta che qualcuno andava a trovarlo a palazzo Giustiniani. Finora non lo ha spiegato neanche Bersani, nonostante le critiche anche severe di cui è stato fatto oggetto («c’è stata totale insipienza tattica e politica, in 24 ore si è passati dal candidato concordato con Berlusconi al candidato più inviso al medesimo», ebbe a dire Massimo D’Alema).
IL CERCHIO MAGICO
Bocciato Marini, il ristretto cerchio magico emiliano che circondava Bersani opta per Prodi. Con un cambio di scenario: visto che tra i candidabili c’era pure D’Alema, si pensa di procedere con una sorta di ballottaggio tra i due.
La scena apparecchiata prevede che Bersani, non da segretario ma da deputato, salga alla tribuna per lanciare Prodi, mentre Anna Finocchiaro salirà a sua volta per lanciare D’Alema. Ma sulla via del cinema qualcuno provvide a bloccare quelli che stavano portando l’urna per le votazioni, il ballottaggio non si fece, parlò solo Bersani e Prodi fu acclamato. Di lì a qualche tempo, sempre D’Alema in varie interviste e a Marco Damilano autore di ”Chi ha gridato più forte”, il libro che ricostruisce l’affaire, spiegò che in quel cinema accaddero cose strane, «molti non andarono all’assemblea, l’applauso non fu di tutti, chi doveva parlare non lo fece», e via recriminando.
Tra i sicuri tiratori franchi vengono annoverati tanti ex popolari di scuola fioroniana e non solo, quelli che «dopo quanto è stato fatto a Marini, figuriamoci se possiamo votare Prodi». Ma non finisce qui. Grande fu la sorpresa di Prodi, per non dire lo sconcerto, quando apprese che finanche Enrico, nel senso di Letta, avrebbe tramato contro di lui. C’è la testimonianza del lettiano Guglielmo Vaccaro, mai smentita dall’interessato, che arriva alla Camera e vaticina: «Vi dico io come va a finire, Prodi salta, al Colle torna Napolitano, che incaricherà Letta per il nuovo governo». Il mago Merlino a Vaccaro gli fa un baffo.

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