ROMA «I voti sono pochini pochini. Speriamo che passi...». Alle otto di sera, dopo una giornata trascorsa a contare e ricontare i voti potenziali per Sergio Mattarella e a leggere e rileggere le dichiarazioni di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, dalla stanza del governo di Montecitorio dove sono riuniti h24 Lorenzo Guerini, Luca Lotti e il cerchio ristretto dei renziani, trapela una palpabile preoccupazione.
I conti danno Mattarella, «l’uomo dell’etica e della moralità, l’uomo con la schiena dritta che sa dire no anche a chi l’ha indicato» (Matteo Renzi dixit), poco sopra la soglia di sicurezza per la quarta votazione di domani. In tutto 581 voti, inclusi 10 transfughi grillini. «Ma bisogna prevedere una quota fisiologica di franchi tiratori del 10%, dunque siamo più o meno a 520 voti sicuri», dice uno dei “contabili”. «Pochini pochini», appunto.
DISARMATI I FRANCHI TIRATORI
E’ per questo che Renzi, parlando ai grandi elettori del Pd, ha scandito una frase studiata proprio per disarmare i franchi tiratori di casa. Per fermare gli scontenti, quelli che sostenevano Walter Veltroni o Piero Fassino, Giuliano Amato o Pier Luigi Bersani, e che avrebbero potuto tentare il ripescaggio del loro leader nel segreto dell’urna: «Attenti, questo non è un passaggio per bruciare nomi. Il candidato del Pd sarà uno, non ce ne saranno altri...». Come dire: inutile che proviate a orchestrare agguati, nessuno di voi ci guadagnerebbe.
Ma visto che i voti sono «pochini pochini» c’è anche da provare a recuperare Berlusconi. O, per lo meno, a strappare un aiutino nel segreto dell’urna. E con l’ex Cavaliere, Renzi usa più il bastone che la carota. Dopo avergli detto mercoledì: «Attento, che dopo Mattarella può arrivare Cantone», ieri alle sette del mattino ha ricevuto a palazzo Chigi proprio il magistrato dell’Autorità anticorruzione. E si è premurato di farlo sapere ai quattro venti. «E se non è Cantone, potrebbe essere Prodi», sibilano i renziani. Altro nemico giurato del capo di Forza Italia.
C’è però chi è convinto che il premier nelle prossime ore ricorra anche alla carota. Sentite Francesco Bonifazi, il tesoriere del Pd vicinissimo a Renzi: «Ci sono le condizioni per far rientrare in gioco Berlusconi. Matteo troverà un modo per tendergli la mano». E ascoltate il presidente del Pd, Matteo Orfini: «Speriamo di recuperare Berlusconi, del resto non ha obiezioni sul nome ma solo sul metodo e comunque Mattarella corrisponde all’identikit tracciato dal centrodestra che aveva chiesto un candidato che non avesse una storia di militanza nel Pd».
Ma tra i renziani c’è ormai la convinzione che si sia «aperta una fase politica nuova». Che il tentativo in extremis su Berlusconi serva soltanto per mettere in sicurezza Mattarella e non per rispolverare il Patto del Nazareno, una volta chiusa la partita del Quirinale: «Da sabato probabilmente avremo un nuovo Presidente e innegabilmente si apre un’altra fase...».
Una fase in cui Renzi, dopo aver ricompattato il Pd e Sel in occasione della madre di tutte le battaglie, rispolvera il bipolarismo. Torna a sinistra. Mattarella in quanto ex dc è un politico di confine, ma è anche uno che il confine lo marca. E in modo ruvido, come dimostra la sua storia: si dimise dal governo Andreotti per provare a impedire il pasticcio sulle tv che lanciò Mediaset. «Mentre Napolitano», dice un altro renziano, «ha sempre predicato la pacificazione tra il Pd e Forza Italia». In molti gongolano dando credito a questa tesi: «Renzi è un genio, ha spremuto Berlusconi come un limone e ora che ha ottenuto la legge elettorale e non gli serve più, lo scarica», dice Bruno Tabacci, leader di Centro democratico.
Ma torniamo ai numeri, alla «vera ciccia di questa fase». Su due versanti. Gli ex dc e i grillini ortodossi. Dario Franceschini, Beppe Fioroni e molti altri ex dc del Pd hanno cominciato a fare i reclutatori tra gli ex democristiani in Parlamento. «Sono dappertutto in Forza Italia e in Area popolare, non potranno rinnegare un uomo che ha la loro stessa storia», profetizza Fioroni. E da Palazzo Chigi filtra il tentativo di agganciare i 40 voti di Raffaele Fitto: «Ha in odio Berlusconi e suo padre era grande amico di Mattarella...». «La Gladio democristiana è in gran spolvero e movimento...», certifica Paolo Naccarato che ha già portato in dote i 15 voti di Gal.
Sul versante grillino si muove il renziano Roberto Giachetti: «Si sta lavorando sui Cinquestelle, stiamo cercando di fargli capire che sarebbero dei folli se sabato, alla quarta votazione, non isolassero Berlusconi votando Mattarella. In quel modo seppellirebbero il Patto del Nazareno. E magari si potrebbe cambiare anche la legge elettorale. Chissà, con il Mattarellum...».
Ma c’è qualcos’altro, oltre ai numeri, che preoccupa Renzi. E’ l’attivismo di Alfano. «Questa mattina ha riunito al Viminale, Berlusconi, Ghedini e tutta la banda», sibila un renziano del cerchio ristretto, «è come se si stesse intestando il no a Mattarella. Non vorremmo che indebolisse il governo. Ma in quel caso...». In quel caso? «Ci sarebbero le elezioni».
Ira di Berlusconi: «Tradito il patto». Alfano: «Il governo
però non c’entra». Silvio a pranzo con il leader Ncd: vedremo se Renzi ha i numeri, impegni disattesi, al quarto scrutinio confermiamo scheda bianca
ROMA Forza Italia resiste sul no a Mattarella. Per Berlusconi «gli impegni presi con Renzi sono stati traditi». E ai suoi spiega di «non avere niente contro Mattarella, che però non è un nome condiviso, come ci aveva promesso il premier». E «per schiarirsi le idee», dopo la votazione, fa il solito giro di shopping in centro. Resta sulle barricate l’Ncd di Angelino Alfano, anche se il segretario con i suoi sottolinea che «un conto è la maggioranza di governo, un conto quella per il Quirinale». L’ex Cavaliere è sì deluso da Renzi, ma ai grandi elettori forzisti ha ribadito di «non avere nulla contro Mattarella», rivelando di «averlo sentito al telefono perché mi voleva ringraziare della decisione di votare scheda bianca, che è sempre un segno di rispetto». L’ex Cavaliere, insomma, non intende rompere in anticipo con il candidato per il Colle. E, per questo, nonostante le informazioni, si è dilungato a spiegare che «non è vero che fu Mattarella a opporsi all’ingresso di Forza Italia nel Ppe».
L’ULTIMA PAROLA
La sensazione dei forzisti, quindi, è che, al momento, non è detta l’ultima parola, anche se la portavoce di FI, Deborah Bergamini precisa che «con il suo atteggiamento, Renzi mette la parola fine al processo delle riforme». Più possibilista, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, che avverte: «Attendiamo una mossa importante, un segnale concreto per poter giocare questa partita. Se non arriva però non possiamo che continuare a votare scheda bianca». Tuttavia, alla fine della riunione, non pochi forzisti sussurrano che «il patto del Nazareno ancora tiene». Forza Italia però non offre spiragli al Pd e manda al premier segnali di guerra. «I patti non erano questi- ripete Berlusconi- ma io sono combattivo e non mollo». «Noi siamo stati leali, Renzi no. Per noi il patto del Nazareno non esiste più», scandisce il presidente dei senatori forzisti, Paolo Romani, che accusa il presidente del Consiglio di «bulimia da maggioranze. Non può pensare di avere una maggioranza per governare, un’altra per le riforme e una terza per eleggere il Capo dello Stato». E, in serata, insieme al capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, spegne decisamente l’ottimismo del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, secondo la quale «non è detto che Forza Italia e Area popolare non cambino idea. Di qui a sabato ci sono due giorni e in politica sono ere geologiche». La replica è secca: «La Boschi non si illuda e neppure Renzi. Forza Italia voterà scheda bianca alla quarta votazione e anche dopo».
LA PARALISI
Al momento, dunque, il centrodestra sembra paralizzato e resiste sulla strategia della scheda bianca. Anche perché, ragionano i forzisti, «non può essere che ci ammorbidiamo, mentre gli alfaniani fanno la faccia feroce». Già, l’Ncd sembra granitico. Dicono perché Alfano spera di ricostituire l’alleanza di centrodestra per le Regionali. Altri ipotizzano ruggini dell’ala ciellina, che fa capo al ministro Lupi, «con il catto-comunista Mattarella». «Renzi ha sbagliato metodo - tuona Fabrizio Cicchitto - invece di coinvolgerci e ampliare la maggioranza per le riforme si è comportato con arroganza e ci ha proposto un unico candidato da prendere o lasciare. Ma con noi non funziona. Noi siamo e restiamo contrari. Ma il governo è un’altra cosa», precisa. Il centrodestra, dunque, sbanda. Fratelli d’Italia conta i voti per Feltri e invita Berlusconi a convergere, anche se La Russa è invece convinto che «il patto del Nazareno non si rompe». I forzisti subiscono anche il fuoco amico dei fittiani che cannoneggiano il quartier generale. «Che fanno ora i capigruppo, si dimettono?», ironizza Saverio Romano. L’ex Cavaliere però non rinuncia a combattere e favoleggia su una possibile riunificazione del suo centrodestra. Tanto che, ieri sera, incontra di nuovo Umberto Bossi.