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Pescara, 24/11/2024
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Data: 30/01/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Quando reagì al «regalo» a Mediaset. Sergio Mattarella è il fratello di Piersanti, assassinato dalla mafia. Si dimise dal governo contro la legge Mammì nel 1989

ROMA Schivo, riservato e molto timido Sergio Mattarella la politica l’ha sempre respirata. «Avete poco da cercare aneddoti e da scavare», dicono gli amici di sempre «la sua è una vita monacale». A Matteo Renzi la pulce nell’orecchio di Mattarella al Quirinale l’avrebbe messa Pier Luigi Castagnetti che con il giovane premier è in confidenza da tempi non sospetti. E’ stato il via libera di Bersani però a convincere definitivamente Renzi che fosse proprio lui il candidato giusto per ricompattare il Pd. Mattarella invece Renzi non lo conosce personalmente. Figlio di Bernardo, più volte ministro della Dc negli anni cinquanta e sessanta, fondatore dei Popolari in Sicilia e antifascista, fratello di Piersanti, ucciso dalla mafia a Palermo nel ’80, Sergio aveva scelto a differenza del fratello maggiore, la carriera universitaria e il diritto. Fu Ciriaco De Mita, allora segretario della Dc, a convincerlo a raccogliere il testimone di Piersanti per impegnarsi direttamente a fare pulizia nella Dc siciliana, allora saldamente in mano a Ciancimino e Lima, e tornare Roma, dove aveva studiato al cattolico Leone Magno e poi a Giurispudenza. A Palermo c’è tornato per amore, per sposare Marisa, sorella della moglie di Piersanti, Irma, con la quale ha tre figli, Bernardo, Laura e Francesco. A Montecitorio è arrivato nell’83. E c’è tornato poi nell’87, quando è stato nominato, governo Goria, per la prima volta ministro per i rapporti con il Parlamento, incarico confermato nell’anno successivo con il governo De Mita. «In confronto a lui Arnaldo Forlani è un movimentista», la pennellata con la quale proprio De Mita ha disegnato il suo profilo. Da sempre vicino alla sinistra Dc, cresciuto nel mito di Aldo Moro, «il grande pubblico» lo scopre nel ’89, quando insieme ad altri 4 ministri si dimette da ministro della Pubblica istruzione del governo Andreotti per protestare contro la legge Mammì, detta legge Polaroid, che considera un regalo a Silvio Berlusconi, visto che fotografa l’esistente e gli concede gratis tre reti. La Dc, di cui diviene vicesegretario, gli affida la direzione de «Il Popolo». Tra i pochi a uscire indenne da Tangentopoli nel 94 è tra i sostenitori del rinnovamento e della nascita de «I popolari» con Martinazzoli. Buttiglione però vince il congresso e sposta l’asse a destra, per l’alleanza con il Polo delle Libertà e con Silvio Berlusconi. Mattarella si dimette dal Popolo e definisce un «incubo irrazionale» l’ipotesi che Forza Italia sia ammessa nel Ppe. Mattarella resta saldamente nel centrosinistra ed è uno dei primi sostenitori di Prodi alla guida dell’Ulivo. Nel ’96, diventa vicepresidente del Consiglio con il governo D’Alema e poi ministro della Difesa. Il suo nome è legato alla abolizione della leva obbligatoria ma anche alla partecipazione italiana all’operazione Allied Force con la quale la Nato intervie in Kosovo. Il suo nome, latinizzato, è legato però al Mattarellum, il sistema elettorale maggioritario nato sulla spinta di un referendum nel ’93. Dal 2011 è giudice della Corte Costituzionale. Rimasto vedovo nel 2012 Mattarella si è trasferito nella foresteria dei giudici della Corte. «Sono camere modeste, 50 metri quadrati» dice un dei vicini di casa, raccontando la giornata tipo di Mattarella. «Esce alle 8,30 a piedi e torna 12 ore dopo con fascicoli e libri sottobraccio. Ogni tanto si concede una cena al Santa Cristina con i collaboratori: pasta al pomodoro e filetto».

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